Il dilemma del giusto salario tra giustizia, strategia e ruolo dei giudici
di Claudio Garau
Se c'è un concetto che attraversa il pensiero giuridico e filosofico e che, oggi più che mai, torna periodicamente al centro del dibattito politico e negli ambienti sindacali e lavorativi, è quello del giusto salario. Al di là di tabelle ministeriali e contratti collettivi, c'è un principio che nasce anteriormente al diritto positivo, nella dimensione etica.
Prima ancora che essere una cifra con cui misurare la “forza” dei diritti economici dei lavoratori, il giusto salario è - anzitutto - la misura di quanto una società riconosce all'individuo, in termini di dignità ed equa partecipazione alla ricchezza prodotta.
Il tema è oggi caldissimo, complice il carovita e l'indebolimento del potere d'acquisto, ma le sue origini risalgono all'antichità. Già Aristotele vedeva nel giusto compenso la proporzione necessaria, per mantenere armonia nella polis, l'espressione concreta di un principio di giustizia distributiva. San Tommaso d'Aquino, secoli dopo, lo collocava nel quadro della legge morale naturale e lo definiva retribuzione sufficiente al sostentamento onesto del lavoratore e della sua famiglia - parole che suggeriscono una sorta di unione tra diritto naturale e morale cristiana e che, in qualche modo, richiamano il dettato dell'articolo 36 Costituzione.
Il giusto salario, dal diritto naturale e dai suoi principi universali, è approdato nel diritto positivo imposto dall'autorità umana? Sulla carta - costituzionale, si direbbe - la risposta è affermativa, eppure, ancora oggi, siamo costretti a discutere se il “sufficiente” significhi sopravvivenza o effettiva possibilità di vivere con dignità, in un'epoca colma di incertezza verso il futuro.
Per sua intrinseca natura, l'argomento è scottante perché caratterizzato da interessi opposti o non del tutto compatibili. Anzi, esiste un conflitto costante tra il mercato del lavoro che - da un lato - agisce come capitalistico “regolatore” dei salari e, dall'altro, la morale del giusto salario, che è ispirata a principi della filosofia del diritto e dei giusnaturalisti, e non si limita a logiche padronali o alla mediazione dei contratti collettivi.
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