La violenza assistita in ambito domestico è una forma di violenza indiretta nei confronti di minori che assistono ai maltrattamenti, generalmente da parte della figura genitoriale di riferimento, statisticamente il padre nei confronti della madre.
In sostanza, si tratta di una violenza psicologica nei confronti del bambino che non è quindi destinatario diretto degli atti violenti ma li vede, li sente e quindi li vive, con conseguenze importanti sotto il profilo psicologico.
Questo fenomeno, riconosciuto dapprima solo a livello giurisprudenziale, nel 2019 (legge n. 69) è stato inserito come reato nel codice penale al secondo comma dell’articolo 572 (per completezza si evidenzia che la norma è stata oggetto di modifica dal Ddl 7 marzo 2025 nella sola parte relativa all’aumento di pena “quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”).
In particolare, questa disposizione stabilisce che se i maltrattamenti sono commessi “in presenza” di minori, la pena -prevista al primo comma della stessa norma per il caso di maltrattamenti diretti- è aumentata fino alla metà.
Il codice ha sostanzialmente recepito l’evoluzione della Suprema Corte che, interpretando in senso estensivo l’oggetto della tutela dell’articolo 572 C.p. -e cioè non solo l’interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia, intesa in senso lato, da atti di violenza o di sopraffazione, ma anche l’integrità fisica e psichica dei suoi componenti e la salvaguardia della loro personalità- aveva già fatto rientrare nella norma tutti quei comportamenti vessatori ai quali i minori assistono, anche se la condotta violenta (sia essa fisica o psicologica) viene esercitata direttamente nei confronti della sola madre.
Ma in cosa consistono i “maltrattamenti” che costituiscono reato?
Solitamente si verificano in una delle tre fasi del c.d. ciclo della violenza. In particolare, nella seconda: quella in cui l’uomo dà libero sfogo alla aggressività. Questa fase è preceduta da quella della “crescita della tensione” e seguita da quella della “luna di miele”, cioè quella fase nella quale l’uomo chiede scusa, promette cambiamenti, attribuisce la violenza a cause esterne, come per esempio la perdita del lavoro.
Quando i cicli si ripetono nel tempo e cresce l’intensità della violenza la donna può essere in pericolo.
Entrando nello specifico, i maltrattamenti, giuridicamente intesi, possono essere rappresentati da violenza fisica, oppure da violenza psicologica, come per esempio le umiliazioni, le denigrazioni, gli svilimenti della persona, l’isolamento, gli insulti, le minacce, il controllo, il lancio di oggetti, oppure da violenza economica, come per esempio il divieto di avere un conto corrente personale oppure la proibizione di lavorare o la pretesa di un controllo su qualsiasi voce di spesa familiare.
Se queste forme di violenza sono ripetute nel tempo, cioè non sono solo occasionali, e si manifestano in un clima di prevaricazione di una parte sull’altra, siamo nell’ambito di questo specifico reato, disciplinato, appunto, dal primo comma dell’articolo 572 c.p. Come accennato sopra, se questi fatti avvengono in presenza di minori, il reato è quello di violenza assistita, di cui all’articolo 572 secondo comma c.p..
La sensibilizzazione sull’esistenza e sull’importanza di questo reato è fondamentale, perché i minori spettatori di tali violenze sono delle vittime autonome rispetto al genitore che le subisce direttamente, e devono essere considerati soggetti destinatari di diritti distinti e specifici, come quello di essere tutelati e protetti per vivere un’infanzia serena o quello di costituirsi parte civile nel processo per chiedere i danni direttamente subiti.
Un bambino che vive queste situazioni, infatti, riporta conseguenze che possono essere durature e condizionanti sia nei rapporti personali che nelle scelte di vita. Nelle vittime di violenza assistita è stato riscontrato, per esempio, uno sviluppo della personalità poco corretto e adeguato, e un aumento del rischio della riproduzione del modello di violenza vissuto: questo significa che i bambini possono diventare a loro volta soggetti maltrattanti, e le bambine scegliere partner con quelle caratteristiche.
Credo quindi non si debba mai sottovalutare o ignorare il vissuto dei minori, soprattutto quando si parla di maltrattamenti, perché purtroppo possono essere protagonisti anche quando non ricevono le violenze in modo diretto.
Per concludere, spero possa essere utile e interessante un suggerimento. Consiglio di guardare un documentario (“Ritratto Familiare”), andato in onda recentemente su Sky e proiettato anche al cinema, in cui un ragazzo ormai cresciuto racconta in prima persona, con la sua voce e la sua immagine ripresa di spalle (spiegherà questa scelta), la sua infanzia negata perché vissuta come spettatore delle violenze subite dalla madre. Si tratta di un’analisi intensa e coinvolgente che ci fa comprendere non solo quanto sia subdola e insidiosa questa forma di reato ma anche quali danni rimangono, non solo sulle donne.