Chi non ha mai immaginato di essere zio Paperone, che si tuffa nel suo deposito pieno di soldi? Pensare, però, a quanto possa inquinare tutto quel contante tenuto a disposizione, potrebbe fare passare subito la voglia.
Chi, infatti, decide di fare a meno dell’uso delle banconote e degli spiccioli per effettuare i pagamenti contribuisce alla transizione ecologica: basti pensare che secondo alcune stime che sono circolate ad inizio dello scorso anno (fonte The European House – Ambrosetti), l’Italia si troverebbe al secondo posto in Europa - subito dopo la Germania - per le emissioni totali di Co2 generate dai pagamenti in contanti: 160,8 mila tonnellate. Stiamo parlando di qualcosa come 2,7 kg per abitante.
Anche il contante, nel suo piccolo, inquina.
Il fatto che il contante inquini ed abbia un impatto rilevante sull’ambiente non è una novità. Avere una banconota da 50 euro in tasca ed utilizzarla per pagare una spesa può sembrare un’operazione innocua. Ma è sempre bene tenere a mente quali sono le operazioni a monte, che permettono a quella determinata banconota di arrivare nel portafoglio di un consumatore.
Ma perché dunque l’uso del contante inquina? Sono sostanzialmente tre i motivi:
● per produrre del contante è necessario utilizzare delle materie prime. Per le banconote si utilizza la carta - per la quale si devono abbattere degli alberi o si usa quella riciclata -, mentre per le monete si impiega il rame, il nichel e l’acciaio. Quando si devono estrarre le materie prime è necessario impiegare una grande quantità di energia e di risorse naturali, che generano molte emissioni di gas serra e danni ambientali;
● il contante deve essere trasportato e distribuito. Ovviamente i mezzi impiegati per fare questa operazione consumano carburante e, a loro volta, emettono Co2. Se si impiegano dei veicoli elettrici, è necessario produrre l’energia che permette di farli muovere. Gli sportelli automatici, che impieghiamo per prelevare contante, consumano, a loro volta, elettricità per funzionare;
● altra voce importante è quella costituita dallo smaltimento. Le banconote, a forza di essere utilizzate, si logorano e devono essere sostituite: mandarle al macero comporta un ulteriore consumo di risorse, suddiviso tra i mezzi di trasporto e i macchinari utilizzati per la distruzione delle banconote.
Secondo alcuni dati della Bce diffusi nel 2024, le due più grandi fonti di inquinamento innescate dall’uso del contante sono l’energia richiesta per alimentare i circuiti Atm e il trasporto della valuta: insieme superano il 70 per cento dell’impronta ambientale complessiva del contante (rispettivamente il 38,54 per cento ed il 36,46 per cento).
Quanto costa alle aziende gestire il contante
Il contante non ha unicamente un impatto ambientale, ma anche un costo vivo per le aziende che lo utilizzano e lo devono gestire. Il 2 per cento dei ricavi mensili di un’attività commerciale - in questo caso ci basiamo sui dati della Banca d’Italia diffusi nel 2022 in occasione dell'Audizione preliminare all'esame della manovra economica per il triennio 2023-2025 - originano proprio dai costi sostenuti per queste operazioni. In questa percentuale si tiene anche conto del rischio di incassare, senza accorgersene, delle banconote false.
A fronte di questi costi vivi che le aziende devono sostenere, la convenienza dei pagamenti digitali è però recepita solo dal 7,8 per cento dei commercianti. Tuttavia, va detto che gli esercizi commerciali che continuano ad opporsi nell’accettare i pagamenti digitali rischiano di perdere, mediamente, il 26 per cento della clientela. Percentuale che può arrivare al 60 per cento nel caso in cui si tratti di strutture ricettive o di negozi di abbigliamento.
Fortunatamente, però, secondo Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano il valore complessivo incassato dai negozi attraverso gli strumenti di pagamento digitale ha raggiunto i 385 miliardi di euro nel 2024, in crescita del 7 per cento rispetto al 2023. A fine 2024, il numero di POS in Italia ha raggiunto i 3,5 milioni.
-
Foto di Willfried Wende da Pixabay