Il commercialista e il tempo: 46 anni di lavoro tra carta e algoritmi - L’evoluzione di una professione tra tecnologia, norme e vita vissuta
di Gianluca Iannetti
1979-1989 | L’odore dell’inchiostro
30 agosto 1979, Università Luigi Bocconi.
Il giorno della laurea ha l’odore dell’inchiostro e della carta. Entro in studio con un’agenda rigida, la Olivetti che scandisce i tasti e un portacenere pieno. Registro a mano il Libro Giornale: righe dritte, calligrafia allenata, verifiche a matita rossa. L’IVA è un corpo semplice, la consulenza è più esecuzione che interpretazione. La sera telefono: una voce dall’altro capo dice “bravo, tieni duro”. Penso al primo affitto: un bilocale in periferia che profuma di vernice fresca. Per me che arrivo dalla provincia estrema è un passo come quello di Armstrong dieci anni prima.
Passano tre anni e scopro la disciplina. Le calcolatrici meccaniche suonano come piccole presse. Le riunioni hanno il rumore dei fiammiferi e il profilo del sigaro del senior. Compilo bilanci con lentezza volontaria: il valore è nel controllo, nel doppio check. In tasca porto un accendino; in testa, la regola che ogni somma va rifatta due volte. A fine ’82, una fede al dito: davanti abbiamo più mesi che soldi, ma anche più ascolto che paura. E un Mondiale e un presidente che ci hanno fatto sognare di non essere più una nazione arretrata, ma che se la gioca con tutti, in tutti i campi.
1985. Arrivano Ritorno al Futuro e la telescrivente. La carta perforata è un passaporto nuovo: comunicare più veloce significa sbagliare più in fretta se non si controlla meglio. Le norme fiscali si infittiscono; prendo l’abitudine di leggere le circolari la mattina presto. Penso che il mestiere stia cambiando: non basta eseguire, bisogna interpretare. Nel cassetto del mio tavolo una chiave: serve al primo schedario ignifugo comprato a rate.
Tra il Mondiale messicano e le Olimpiadi di Seoul, le calcolatrici elettroniche seducono con la rapidità. Lo studio compra una macchina contabile NCR: ingombrante, rumorosa, ma fa girare i registri. La clientela comincia a chiedere “cosa conviene”, non solo “cosa si deve fare”. Nelle pause parliamo di matrimonio, vacanze possibili e di un mutuo che sembra grande come una montagna. In dicembre, a Courmayeur, mi sorprendo a pensare ai ratei.
1990-1999 | L’era del rumore elettronico
È il 1990 delle notti magiche e di Pretty Woman. Il computer entra in studio e divide il tavolo in due: da una parte il quaderno, dall’altra la tastiera. Le stampanti ad aghi urlano. Faccio i back-up su dischetti da 3,5”. Capisco che l’errore cambia forma: non più il numero invertito, ma il file sovrascritto. Nel 1991 cambia la disciplina delle società di capitale: il bilancio si fa più raffinato, le note integrative chiedono più parole dei numeri. Continuo ad andare al mare in Riviera romagnola.
A metà anni Novanta concilio due mondi: il senior che rifà i conti a mano e il praticante che impara scorciatoie da tastiera. Mi esercito a tradurre: dal linguaggio delle norme a quello delle decisioni. A casa, una culla nuova; in studio, una scrivania in più. Penso che crescere sia duplicare le responsabilità senza dimezzare l’attenzione. Mi innamoro di Pulp Fiction e convivo col primo governo Berlusconi.
Mille non più mille, diceva mia nonna. È il 1999 e Internet arriva su ISDN. Le email compaiono come biglietti rapidi che però restano. Migro software su Windows; le laser sostituiscono gli aghi. Lo Y2K ci costringe a fare inventario dei sistemi: la paura è un grande acceleratore d’innovazione. Inizio a chiamare i clienti per dire: “aggiorniamo adesso, non a fine anno”. Nasce l’idea dello studio associato: sommare teste per non moltiplicare i rischi. E penso al fatto che sono più di dieci anni che l’Inter non vince lo Scudetto. Nonostante Ronaldo.
2000-2010 | L’informatica diventa casa
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