Il cliente che non paga: la fattura che resta nel cassetto
di Mario Alberto Catarozzo
Alzi la mano chi non ha mai fissato lo schermo del computer, scorrendo la lista dei crediti ancora da incassare. Il cliente che non paga è una presenza costante nella vita di ogni studio. La prestazione è stata svolta con dedizione, la notula è stata emessa, eppure il bonifico…non arriva. Nel frattempo, le spese corrono: i collaboratori aspettano lo stipendio, il canone di locazione non conosce proroghe e il fisco non è disposto a concedere dilazioni per solidarietà professionale.
Questa spina nel fianco meriterebbe ben altra attenzione da parte delle istituzioni di categoria. Ma in attesa di soluzioni strutturali, dobbiamo rimboccarci le maniche e trovare strategie efficaci per gestire questa criticità.
Una fotografia preoccupante del fenomeno
I numeri raccontano una storia preoccupante: nel primo trimestre 2024 i tempi medi di pagamento in Italia si attestano sui 70 giorni, con disparità territoriali marcate: dai 61 giorni della Liguria ai 90 della Calabria. È come se in alcune regioni fosse ormai accettato che una fattura venga saldata dopo tre mesi!
La Lombardia mostra il tasso più alto di pagamenti puntuali (50,4 per cento), il che significa, comunque, che quasi la metà delle fatture non viene pagata nei tempi previsti. In Calabria solo il 24,4 per cento dei pagamenti avviene puntualmente, in Sicilia appena il 22,8 per cento.
Dietro questi dati ci sono studi che faticano a mantenere l'equilibrio finanziario, professionisti che rinunciano a investire in formazione, giovani collaboratori che vedono slittare il proprio compenso. Un sistema che rischia di incepparsi proprio a partire dalla sua componente più delicata: la fiducia reciproca.
Anatomia del cliente inadempiente
Perché i clienti non pagano? La domanda può sembrare banale, ma la risposta è complessa. L'esperienza porta a distinguere due grandi categorie di clienti, che richiedono approcci diversi.
Da un lato, i clienti con genuine difficoltà economiche: l'imprenditore che affronta un calo improvviso degli ordini, l'azienda familiare colpita da eventi imprevisti, il professionista che ha investito troppo e che si trova a corto di liquidità. Con questi clienti, un approccio improntato alla comprensione può portare a soluzioni win-win: un piano di rientro, una dilazione concordata, talvolta anche una rinuncia parziale al credito in cambio di un pagamento immediato della parte restante.
Dall'altro lato – inutile girarci intorno – incontriamo i "furbetti" del pagamento ritardato. Sono quelli che hanno trasformato il mancato pagamento in una strategia aziendale. Li riconosciamo perché ritardano sistematicamente ogni pagamento, contestano pretestuosamente la qualità della prestazione solo quando arriva il momento di pagare, fanno leva sul timore del professionista di perdere il cliente.
Con questi soggetti, ogni tentennamento è un errore. Come diceva un mio vecchio maestro: "Con il cliente furbetto non servono né la diplomazia né la comprensione: servono tempestività, chiarezza e, se necessario, un buon avvocato specializzato in recupero crediti".
Prevenire è meglio che recuperare
Come per ogni patologia, anche per i mancati pagamenti la prevenzione è l'arma più efficace. Non si tratta di approcci complicati, ma di buone prassi che ogni studio dovrebbe adottare come standard operativo.
Prima di tutto impariamo a fare verifiche preliminari sulla solvibilità dei nuovi clienti. Non è questione di fiducia, ma di prudenza professionale. Ricordo ancora quando, agli inizi della carriera, accettai l'incarico di una società che sembrava solida, solo per scoprire – dopo mesi di lavoro non pagato – che aveva già lasciato una scia di creditori insoddisfatti. Una verifica preliminare mi avrebbe risparmiato tempo, denaro e frustrazioni.
Il contratto chiaro con clausole specifiche sul pagamento è un altro strumento fondamentale. Non lasciamo al caso questioni cruciali come i tempi e le modalità. Definiamo nero su bianco quando e come vogliamo essere remunerati, quali conseguenze comporta il ritardo, quali garanzie richiediamo. Il vecchio adagio "patti chiari, amicizia lunga" non è mai stato così attuale.
Un'altra strategia efficace è l'adozione di acconti e pagamenti intermedi. Perché aspettare la fine di una prestazione che può durare mesi per emettere la prima fattura? Ciò porta ad una migliore pianificazione finanziaria e riduzione dei crediti incagliati.
Infine, non sottovalutiamo il potere di una comunicazione trasparente sui costi fin dall'inizio. Troppe volte si sono visti colleghi incorrere in contestazioni semplicemente perché il cliente non aveva compreso chiaramente quanto e per cosa avrebbe dovuto pagare. Le sorprese in fattura sono il terreno ideale su cui germoglia il contenzioso.
Quando la prevenzione non basta: strategie di recupero
Nonostante tutte le precauzioni, prima o poi capita a tutti di trovarsi con un cliente che non paga. In questi casi, la tempestività è fondamentale: più passa il tempo, più il recupero diventa difficile.
Il consiglio è di seguire un approccio graduale, ma determinato. Si parte sempre con un approccio amichevole: una telefonata cordiale, un'email di promemoria, un incontro di persona. Spesso questi semplici passaggi sono sufficienti, soprattutto quando il ritardo è dovuto a semplice distrazione o a disguidi amministrativi.
Se l'approccio informale non porta risultati, è il momento di passare alla formalizzazione: una lettera di sollecito ufficiale, una PEC che evidenzi le conseguenze del mancato pagamento, la proposta di un piano di rientro scritto, la sospensione dei servizi in corso.
Solo come ultima spiaggia si passa al recupero legale vero e proprio: lettera di diffida tramite avvocato, decreto ingiuntivo, eventuale mediazione e azione legale completa.
Ricordate che la paura (di perdere il cliente) è la forza del cliente.
La componente psicologica: il nemico invisibile
C'è un altro aspetto del problema "cliente moroso" che spesso viene sottovalutato: la componente psicologica che entra in gioco quando dobbiamo chiedere il pagamento di quanto ci è dovuto.
Quanti di noi si sentono a disagio nel sollecitare un pagamento? È un fenomeno molto frequente, anche per professionisti brillanti e affermati: una sorta di resistenza interiore che ci frena quando si tratta di parlare di denaro.
Alla base di questa resistenza ci sono diversi fattori: il timore di perdere il cliente, il voler evitare il conflitto, un malinteso senso di colpa. Per superare questi ostacoli, dobbiamo innanzitutto riconoscerli come reazioni normali, ma non razionali. Dobbiamo poi ricordarci costantemente che il giusto compenso non è un favore che ci viene concesso, ma un diritto sancito da un accordo tra adulti consenzienti.
La questione culturale: un problema italiano
Non possiamo poi chiudere gli occhi davanti a un’altra verità scomoda: in Italia esiste una maggiore tolleranza verso i ritardi nei pagamenti rispetto ad altri Paesi europei. È una questione culturale che affonda le radici in decenni di prassi commerciali discutibili.
Questa cultura del ritardo danneggia gravemente il tessuto economico nazionale, in particolare i professionisti e le piccole imprese che non possono permettersi di fungere da "banche" per i propri clienti. Cambiare questa cultura richiede l'impegno di tutti, a partire dai nostri comportamenti quotidiani.
Una questione di equilibrio
Gestire i clienti che non pagano richiede un mix sapiente di fermezza e diplomazia, di rigore e flessibilità. Non esiste una formula magica, ma esistono principi e procedure che possono ridurre significativamente l'impatto dei mancati pagamenti sulla stabilità economica dello studio.
Warren Buffett diceva che "è quando la marea si ritira che si scopre chi nuotava nudo". Allo stesso modo, è nei momenti di tensione economica che si rivelano i clienti davvero affidabili e quelli con cui è meglio non proseguire la collaborazione.
Ricordiamoci sempre che il nostro lavoro merita rispetto, e che questo rispetto passa anche attraverso il riconoscimento economico tempestivo delle nostre prestazioni. Chiedere di essere pagati nei tempi concordati non è un capriccio: è semplicemente la condizione necessaria perché lo studio professionale possa continuare a offrire servizi di qualità, investire in formazione e tecnologia, e garantire compensi adeguati ai collaboratori.