Di grande interesse sono le ultime vicende del caso META, dopo che la Procura della Repubblica di Milano, coinvolta dalla locale articolazione dell’Agenzia delle entrate, ha contestato ad una società irlandese dell’omonimo gruppo l’omessa dichiarazione IVA per circa 4 miliardi di euro di imponibile in ragione dell’omessa fatturazione di operazioni permutative, tali essendo, per la predetta Agenzia, il servizio digitale reso dalla piattaforma social senza corrispettivo monetario a fronte del consenso al trattamento dei propri dati personali fornito volta a volta dagli utenti.
Trattasi di caso, a quanto consta, nient’affatto isolato, posto che l’iniziativa accertatrice di cui sopra parrebbe riguardare anche altri player del settore dei servizi resi gratuitamente da piattaforme digitali, il c.d. zero price market e segue alcuni noti precedenti del giudice amministrativo riguardanti il caso di illeciti consumeristici e del giudice civile di merito.
Il tema è evidentemente di enorme rilevanza stante la capillare diffusione del business model in questione (servizio digitale verso consenso al trattamento dei dati).
Centrale nel tema in questione è la Direttiva UE 770 del 20 maggio 2019, recepita in Italia con il Dlgs n. 173/2021, con la quale il legislatore europeo, nell’intento d’instaurare un “mercato unico digitale” garantendo, al contempo, un elevato livello di tutela dei consumatori, ha emanato una disciplina che trova applicazione non solo con riferimento a tutti i contratti in cui vengono forniti contenuti o servizi digitali in cambio di un corrispettivo pecuniario, ma anche allorquando «l’operatore economico fornisce o si impegna a fornire contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore» e il consumatore «fornisce o si impegna a fornire dati personali all’operatore economico»; disposizione, questa, recepita all’articolo 1, comma 4, del citato Dlgs n. 173/2021 laddove si utilizza una terminologia maggiormente evocativa del diritto delle obbligazioni, in quanto prevede che «Le disposizioni del presente capo si applicano altresì nel caso in cui il professionista fornisce o si obbliga» – in luogo di impegna – «a fornire un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si obbliga a fornire dati personali al professionista».
Orbene, l’ambiguità del testo di cui sopra quanto alla natura, onerosa o meno, del servizio digitale fornito a fronte del consenso al trattamento dei dati personali non viene considerata casuale in dottrina, riflettendo proprio il contrasto tra una concezione tradizionale, che insiste sulla natura di diritto fondamentale del dato, e l’orientamento più moderno, destinato inevitabilmente a prevalere, che colloca il fenomeno della circolazione del dato nell’ambito del diritto delle obbligazioni attribuendo al consenso la natura di vero e proprio corrispettivo.
Quanto alla rilevanza ai fini IVA del consenso al trattamento dei propri dati reso dall’utente ossia se tale consenso possa o meno considerarsi corrispettivo nel sistema di detto tributo e rendere la non monetary transaction (il servizio reso dalla piattaforma digitale senza corrispettivo in denaro) un’operazione rientrante nel campo di applicazione dell’IVA come operazione onerosa (permutativa), viene in considerazione la giurisprudenza unionale, la quale ha affermato in più occasioni che un’operazione “è effettuata “a titolo oneroso” ai sensi dell’articolo 2, punto 1, di tale direttiva e, pertanto, configura un’operazione imponibile solo quando tra l’autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto dall’autore di tale prestazione costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario” (sentenza del 20 giugno 2013, causa C-653/11). Ciò si verifica, ritiene ancora la Corte “quando esiste un nesso diretto fra il servizio fornito dal prestatore e il controvalore ricevuto, ove le somme versate costituiscono un corrispettivo effettivo di un servizio individualizzabile fornito nell’ambito di un siffatto rapporto giuridico” (ex multis, sentenza 5 luglio 2018, C-544/16).
La verifica circa il nesso sinallagmatico, ritiene sempre la Corte, va fatta tenuto conto che la nozione di prestazione di servizi ha “un carattere obiettivo e si applica indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi, senza che l’amministrazione fiscale sia obbligata a procedere ad indagini per accertare la volontà del soggetto passivo” (in tal senso sempre sentenza del 20 giugno 2013, causa C-653/11 e la nota sentenza Halifax, punti 56 e 57 nonché giurisprudenza ivi citata) e che la valutazione della realtà economica e commerciale costituisce un criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune dell’IVA in guisa che, dato “che la situazione contrattuale riflette, di norma, l’effettività economica e commerciale delle operazioni, ed allo scopo di rispettare le esigenze di certezza del diritto, le clausole contrattuali rilevanti costituiscono un elemento da prendere in considerazione quando occorre identificare il prestatore e il destinatario nell’ambito di un’operazione di “prestazione di servizi” ai sensi degli articoli 2, punto 1, e 6, paragrafo 1, della sesta direttiva” (sempre sentenza 20 giugno 2013, causa C-653-11).
Cosicchè, in conclusione, l’indagine sul carattere oneroso di un’operazione ai fini IVA, inclusa evidentemente quella resa dalle piattaforme digitali a fronte del consenso, richiede una valutazione complessiva che tenga conto della sussistenza di un nesso sinallagmatico tra le prestazioni da individuare innanzi tutto sulla base del contenuto dell’accordo contrattuale (ove conforme alla realtà economica e commerciale sottostante). Solo attraverso tale analisi è così possibile assicurare un’applicazione uniforme e coerente delle disposizioni della Direttiva.
E ciò vale, appunto, anche allorquando si approcci il business model che ci occupa. In disparte, una volta ricostruitane la natura (lato piattaforma soggetto passivo) in termini di operazione permutativa soggetta ad IVA, l’ulteriore tema della determinazione dell’imponibile.