Il cambiamento organizzativo per generare valore di lungo termine e trarre profitto dall’incertezza
di Sara Giussani
Partiamo da due presupposti. L’incertezza, e il cambiamento che ne deriva, sono parte strutturale della realtà. Non possiamo eliminarli e se non li controlliamo, saranno loro a controllare noi. Diventa quindi necessario conoscere meglio le dinamiche che comportano, per poterle tradurre in strumenti a nostro vantaggio.
Perché cambiare non è mai facile? Il cambiamento, per quanto possa essere pianificato, porta con sé inevitabilmente una componente sconosciuta che genera incertezza e, quindi, rischi. Sebbene una certa resistenza al cambiamento sia legittima, deve tuttavia coniugarsi con la consapevolezza che oggi cambiare non è più un’opzione, bensì una necessità per comprendere e affrontare ambienti sempre più dinamici e imprevedibili.
“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare” (Winston Churchill). Il cambiamento non solo diventa oggi una priorità, ma diviene uno degli strumenti più importanti che abbiamo per creare progresso e diventare leader del nostro futuro. Un team eccellente dal punto di vista tecnico, ma formato da persone che vivono un insuccesso come una sconfitta e guardano al futuro con ansia e paura … non va da nessuna parte.
La prima domanda che l’azienda deve porsi è: in che modo tradurre scenari economici, geopolitici, finanziari, imprevedibili in indicatori misurabili?
La scienza dell’incertezza si traduce in un nome: calcolo delle probabilità. Del resto il rischio, ovvero, la conseguenza prima dell’imprevedibilità, è per definizione il risultato della combinazione di due componenti: la probabilità che un evento possa manifestarsi e il danno che può arrecare al sistema. L’approccio del Probability Management e la formula RISCHIO = P x D offrono all’azienda strumenti validi per analizzare e valutare l’incertezza, mentre il grafico del rischio le consente di pianificarne la risposta. Attraverso l’incrocio dei due parametri della probabilità (frequenza) e del danno (magnitudo), l’azienda ha infatti la possibilità di valutare il rischio calcolato e tradurlo in rischio accettabile attraverso azioni di protezione (riduzione della magnitudo) o, ove possibile, di prevenzione (riduzione della frequenza).
Seconda domanda: in che modo tradurre l’incertezza e, quindi, il cambiamento che ne consegue, in asset strategico?
L’azienda è fatta dalle persone che la vivono: investire nel capitale umano significa investire nel proprio futuro. Ciò vuol dire due cose:
· costruire un ambiente organizzativo dinamico, proattivo, innovativo, snello, in grado di attrarre risorse change-oriented;
· promuovere una cultura orientata all’opportunità attraverso formazione interna, modelli di business lungimiranti, una leadership visionaria, politiche di retention.
Ogni cambiamento rappresenta un processo, non un evento, e come tale deve essere pianificato e gestito. Diversi sono i modelli operativi, da quello di Kurt Lewin (Scongelamento, Transizione, Ricongelamento), al metodo ADKAR (Consapevolezza, Determinazione, Conoscenza, Sostegno, Attitudine).
Quando suggerisco alle aziende di scorporare il processo in cinque momenti distinti (Conoscenza, Pianificazione, Azione, Monitoraggio, Consolidamento), mi rendo conto di due errori molto comuni.
Nel primo caso, si sottovaluta la seconda fase, dimenticando un presupposto semplice ma fondamentale: la qualità della pianificazione determina la qualità dei risultati conseguiti. Nel secondo si trascura il monitoraggio che, al contrario, svolge un ruolo cruciale. Ogni cambiamento, per essere efficace, richiede una strategia dove nulla può essere lasciato al caso.
Una volta creato l’ambiente e l’approccio manageriale idonei, quali sono gli strumenti per tradurre un processo di cambiamento organizzativo in una risorsa?
Identità aziendale forte. Vision e mission non sono parole astratte o slogan da pubblicare sul sito. Devono essere i pilastri che orientano le mosse dell’azienda e più sono chiari e condivisi, più riusciranno a supportare il sistema attraverso le turbolenze esterne;
sistema di obiettivi strategici. Suggerisco sempre la tecnica SMART per definire traguardi di breve, medio e lungo termine, che siano specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e determinati a livello temporale;
strumenti di verifica di efficacia ed efficienza, importanti per valutare quando è necessario implementare azioni correttive, di miglioramento o di rinforzo: monitoraggio è sinonimo di efficienza;
approccio olistico alla gestione. In ambienti estremamente interconnessi, ogni evento deve sempre essere collocato all’interno di un orizzonte spazio-temporale più ampio per poter essere compreso e gestito in modo strategico.
Infine, in che modo trasformare l’incertezza in fonte di vantaggio competitivo di lungo termine?
Vision: creare una vision chiara e non perderla mai di vista. Più la vision è forte, più l’azienda è resiliente e proattiva;
ambizioni alte: un cambiamento non è mai facile e definire traguardi realistici ma ambiziosi è fondamentale per affrontare difficoltà e ostacoli con successo;
impresa customer-centric: porre al centro i bisogni e le aspettative del mercato consente all’azienda di orientare le proprie mosse in modo obiettivo e chiaro e tradurre la complessità in linee guida;
people management: investire nei propri clienti interni è ciò che consente a un’organizzazione di non perdere la sua unicità e il suo valore, anche e soprattutto in tempi di incertezza;
diversificare, a ogni livello organizzativo, per semplificare la complessità e ridurre il rischio relativo;
partnerships autentiche e forti. La qualità delle relazioni sottese a un business determina la sua capacità nell’essere protagonista del proprio futuro, non spettatore.
Costruire ambienti capaci di portare fuori il meglio dalle persone che li vivono è il primo step per creare aziende che guardano al cambiamento come una sfida, non un problema.