Nelle ultime settimane è tornata al centro del dibattito politico e mediatico la proposta di un’imposta patrimoniale: si parla di un prelievo annuale dell’1,3 per cento a carico di chi possiede più di due milioni di euro.
Divenuto rapidamente una sfida a colpi di slogan e contrapposizioni ideologiche, il confronto sulla patrimoniale si è trasformato in una sala degli specchi, dove i riflessi sono sempre gli stessi: parole altisonanti che non si traducono in azione e rifiuti automatici che eludono la sostanza. Ne deriva un dibattito asciutto, adatto soltanto a titoli sensazionalistici e talk show.
La novità della proposta - che meriterebbe di essere esaminata, contestualizzata e ricondotta anche all’insegnamento di un passato non troppo lontano - non risiede nell’idea in sé, ma nella forma in cui è stata presentata.
La patrimoniale può assumere molti volti, e va chiarito quali siano, perché e con quali scopi.
Una patrimoniale che interroga l’idea stessa di ricchezza
C’è una soglia, nel panorama della ricchezza italiana, che pochi oltrepassano: due milioni di euro di patrimonio netto. È lì che si collocherebbe la proposta della nuova imposta, una misura che riguarderebbe circa cinquecentomila persone.
L’idea è di stabilire che ogni individuo o ente residente in Italia debba dichiarare il proprio patrimonio, dagli immobili agli investimenti fino alle attività finanziarie. Quando questo obbligo viene disatteso, la legge interverrebbe con una sanzione tra il 3 per cento e il 15 per cento del valore non dichiarato (si tratta delle attuali penalità da quadro RW).
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Blast - Quotidiano di diritto economia fisco e tecnologia per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.


