Il termine corretto è Gender Based Taxation, cioè un modello di tassazione agevolata dei redditi da lavoro percepiti dalle donne, con la previsione di aliquote inferiori per quest’ultime.
Il modello è frutto degli studi effettuati nei primi anni 2000 (pubblicazioni del 2007 e 2010) dai Professori Alesina (Harvard) e Ichino (Bologna), che hanno fondato le proprie teorie su numerosi contributi scientifici e serie storiche relative al lavoro femminile dal 1930 in poi. La proposta non ha però trovato realizzazione, in particolare perché ritenuta di dubbia costituzionalità in ragione degli articoli 3 e 53 Cost..
Il modello, comunque, ha avuto il pregio di aver aperto un dibattito, soprattutto in termini di retribuzione femminile e di opportunità di carriera.
In proposito, nel 2022 l’Ocse ha pubblicato uno studio intitolato “Tax Policy and Gender Equality” - basato sulle risposte ottenute da 43 Stati (Italia compresa) - che parte dalla seguente premessa: “Questo rapporto fornisce una panoramica di come i Paesi considerano l'uguaglianza di genere all'interno dei loro sistemi fiscali, concentrandosi sul modo in cui viene inserita nel processo di progettazione delle politiche fiscali, nonché sulle principali fonti di pregiudizi impliciti ed espliciti e sui dati disponibili per l'analisi. Il rapporto considera anche le priorità e le strade da percorrere in futuro per garantire che la politica fiscale e i sistemi fiscali più in generale contribuiscano agli obiettivi di uguaglianza di genere dei governi.”
La gender tax si fonda sul seguente presupposto: gli uomini e le donne sono “fattori della produzione”, quindi se non è possibile incentivare l’assunzione con le sole politiche di bonus (quello che la maggior parte degli Stati tende a fare), allora sarà necessario penalizzare il fattore della produzione “concorrente”, ovvero, nel caso specifico, penalizzare il lavoro maschile.
La tassazione è quindi un elemento esogeno che può influenzare, nel lungo periodo, l’offerta di lavoro maschile e femminile, così da pareggiare la stessa tra i membri della famiglia, neutralizzando le forze e parificando il potere contrattuale domestico.
Un’esemplificazione può chiarire il concetto: se entrambi i soggetti hanno lo stesso “potere economico” (reddito netto) e lo stesso “potere domestico” (tempo da dedicare alla cura familiare), sarà irrilevante chi si dovrà “sacrificare” per aspettare, ad esempio, il tecnico della caldaia, chiedendo un permesso dal lavoro; entrambi sono in una posizione di equilibrio, quindi potranno fare “testa o croce”. Oggi invece la donna, avendo un reddito inferiore e minori possibilità di carriera, risulta “sacrificabile” per tutti gli incarichi collegati alle esigenze familiari, sino al punto di farla rinunciare al lavoro stesso.
A parità di livello, la retribuzione subisce una correlazione inversa con i compiti casalinghi: più tempo ed energie sono dedicate alla vita domestica, minori sono i livelli retributivi cui ambire nel mercato del lavoro, quindi lo Stato, attraverso la variabile fiscale potrebbe stimolare la riallocazione dei ruoli interni alla famiglia.
Alla base del modello vi è l’applicazione dell’”ottimo di Pareto” alla teoria dell’equilibrio di Nash: se entrambi si fanno carico di parte similare dei compiti familiari li svolgeranno meglio (benefici interni alla famiglia) e otterranno entrambi riconoscimenti nel mondo del lavoro (benefici per l’individuo e la famiglia stessa).
La GBT cerca, attraverso, un fattore dirompente esterno, di riscrivere le regole di un microcosmo, ovvero la famiglia, riconoscendo principalmente alla donna il ruolo di soggetto debole dell’equazione, ma non tiene conto degli altri microcosmi che formano l’ecosistema di uno stato: il primo grande limite del modello è la famiglia tradizionale.
Se da un lato questo modello sconta il limite di essere ormai superato, anzi di essere nato superato nell’accezione tradizione della famiglia, però ha un grande pregio: evidenzia l’esigenza di abbandonare il sistema dei bonus, quale incentivo per le donne per entrare o restare nel mondo del lavoro.
Il documento Ocse del 2022 evidenzia, infatti, come molti Stati lavorino su un sistema ibrido: tassazione familiare (che in alcuni casi diventa penalizzante) e bonus per le donne/famiglie (legate principalmente alla maternità), con un’aggiunta di incentivi all’assunzione a favore dei datori di lavoro.
Va in proposito condivisa l’opinione dei teorici del modello in ordine alla disaffezione che i sussidi forfettari creano nelle donne rispetto al mondo del lavoro: non si avrebbe alcuno stimolo a cercare di entrare o restare nel mondo del lavoro.
Come si è in precedenza riportato, in passato si è ritenuto che la GBT violasse gli articoli 3 e 53 della Costituzione. In particolare, il limite principale sarebbe (stato) quello dell’articolo 3, il quale prevede che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso…”. Occorre però ricordare che il successivo comma 2 assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i “lavoratori” all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Queste “azioni positive”, assegnate alla Repubblica, risultano a conti fatti lo “strumento” messo a disposizione dal legislatore proprio per superare le differenze di cui al comma 1 dell’articolo 3 (Corte Cost. n. 109/1993).
Così che delle specifiche misure fiscali riservate solo al lavoro femminile non dovrebbero risultare discriminatorie dal momento che, nell’ottica ex articolo 3, comma 2, Cost., sarebbero mirate a superare un assetto socioeconomico produttivo di effetti discriminatori proprio a carico delle donne (in questo senso anche Ddl “Morando” del 2010).
Ad ogni modo, occorre tornare a discutere del tema. Ad esempio, l’idea di un maggior “potere contrattuale familiare” alle donne è da sostenere, tanto che in alcuni ordinamenti la “parità dei ruoli familiari” è imposta, ad esempio, attraverso l’obbligo di congedo parentale per gli uomini. Il sistema fiscale, se usato in chiave di tassazione del reddito reale (quindi al netto dei costi di cura familiare), può diventare il vero elemento esogeno di stimolo all’inserimento e alla carriera delle donne, ma più in generale di tutti i lavoratori (indipendentemente dal sesso).