Sono passati solo pochi giorni dalla notizia della maxi-sanzione irrogata dall’AGCM a GLS, il colosso europeo della logistica, e, al di là dell’interesse mediatico che essa ha suscitato, il fatto offre lo spunto per alcune riflessioni.
La prima, se vogliamo la più immediata, è che il contrasto alle pratiche di greenwashing non si esaurisce evidentemente in una mera petizione di principio, limitata a produrre effetti sul piano reputazionale, ma può avere importanti risvolti economici per l’impresa.
L’AGCM non è nuova ad iniziative di questo genere, essendosi occupata a più riprese del tema greenwashing.
Semmai, ciò che deve essere tenuto in considerazione è il mutamento della sua politica sanzionatoria, la quale è passata da forme più o meno intense di moral suasion (seppur integrate da sanzioni amministrative di lieve entità) all’irrogazione di una sanzione severissima come quella in commento.
L’intervento dell’AGCM è preordinato a tutelare il mercato nel suo complesso da condotte distorsive che ne alterino il suo funzionamento.
Sul piano invece delle relazioni dirette tra imprese e della concorrenza sleale, è passato già qualche anno dalla prima sentenza che ha avuto a che fare con il tema del greenwashing. Nel novembre del 2021, infatti, il Tribunale di Gorizia fu chiamato ad esprimersi in un procedimento cautelare tra due imprese concorrenti nell’ambito del quale una di queste chiedeva all’autorità giudiziaria l’emissione di un provvedimento inibitorio nei confronti dell’altra volto a far cessare la condotta di quest’ultima in considerazione del fatto che, attribuendo ai propri prodotti pregi ambientali generici, fuorvianti e non dimostrabili, rischiava di pregiudicare la quota di mercato acquisita dalla società ricorrente.
Il precedente è rimasto isolato e dunque non si registra un incremento del contenzioso in tale ambito nonostante l’aumento degli interventi delle Autorità indipendenti faccia supporre l’incremento del ricorso a pratiche di greenwashing, qualificabili senz’altro sleali a tutti gli effetti, da parte delle imprese.
Entrando nel merito dei fatti, l’AGCM ha comminato alla capogruppo olandese di GLS (in solido con le sue controllate italiane) una sanzione amministrativa di 8 milioni di euro per la violazione delle disposizioni del Codice del consumo disciplinanti le pratiche commerciali scorrette a causa della realizzazione e della promozione di un progetto ESG denominato “Climate Protect” rivelatosi poi essere un emblematico caso di greenwashing.
Gli accertamenti dell’Autorità indipendente hanno fatto emergere, infatti, che GLS, nell’ambito di tale progetto, ha utilizzato dichiarazioni ambientali ambigue e presentate in modo vago, inaccurato ed equivocabile.
Un esempio su tutti è senz’altro rappresentato dalla commistione ingenerata da GLS relativamente ai concetti di “compensazione” e “riduzione” delle emissioni nonostante la significativa differenza tra le due attività e, soprattutto, in considerazione del fatto che solo l’attività di “riduzione” attiene al reale impatto ambientale del prodotto o del servizio offerto. L’AGCM ha, infatti, messo in evidenza che i messaggi pubblicitari presenti sul sito dello spedizioniere creavano confusione tra tali concetti in maniera tale da poter indurre a ritenere che le iniziative di compensazione fossero in grado di rendere meno inquinanti i servizi di spedizione offerti da GLS.
L’Autorità indipendente ha poi osservato che il ricorso ad asserzioni ambientalistiche false, ambigue e fuorvianti è tanto più nocivo per il regolare dispiegamento dei rapporti di consumo e delle dinamiche di mercato quanto maggiore è l’impatto ambientale delle attività svolte dall’impresa che ricorre a siffatte asserzioni.
Il caso del trasporto di merci su gomma ne è una rappresentazione plastica essendo uno dei settori economici maggiormente inquinanti e che, dunque, richiede particolare accuratezza alle imprese che vi operano e che decidono di promuovere la propria attività mettendo in luce le proprie iniziative di sostenibilità ambientale.
Le similitudini con il caso Ferragni-Balocco
Nell’ambito della campagna Climate Protect in commento, GLS ha fatto inoltre intendere a consumatori e affiliati che essa stessa avrebbe effettuato investimenti per sostenere iniziative di compensazione e riduzione delle emissioni di CO2. Dall’istruttoria AGCM, tuttavia, è emerso che i costi delle iniziative green del gruppo sarebbero stati pari al solo 25 per cento dei proventi derivati dal contributo obbligatorio imposto ai piccoli franchisee e ai clienti abbonati aventi minore forza contrattuale. GLS, quindi, non ha fatto alcun investimento con proprie risorse, ma anzi ha ottenuto un considerevole profitto.
La vicenda ricorda quella assai più nota dell’affair Ferragni-Balocco. Anche in quel caso, infatti, non vi era relazione tra l’esborso in beneficenza e il costo del pandoro. Circostanza che ha convinto l’Autorità sull’ingannevolezza del messaggio pubblicitario.
Non solo, nel corso delle indagini istruttorie è stato appurato che l’Ufficio Legale interno di GLS aveva avvertito dell’illegittimità del programma in questione ricevendo in cambio l’ordine di proseguire. Anche in questo caso, le assonanze con il caso Ferragni-Balocco sono evidenti. Anche lì, infatti, i legali interni della Balocco avevano sollevato obiezioni, altrettanto consapevolmente ignorate, sull’iniziativa «Pandoro Pink Christmas».
Tali circostanze sono senz’altro considerate un’aggravante della condotta e hanno inciso sulla determinazione dell’importo di sanzione.
La sanzione
Nell’ambito del c.d. “spazio edittale” che va da euro 5.000 ad euro 10.000.000 (articolo 27.9 del Codice del consumo), l’AGCM ha comminato una sanzione di euro 8.000.000 in solido verso tutte le società del Gruppo, ritenendo che la campagna «Climate Protect» sia pratica commerciale scorretta, caratterizzata da profili di particolare ingannevolezza e aggressività, in violazione delle disposizioni del Codice del consumo (è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero; è considerata aggressiva una pratica commerciale che mediante indebito condizionamento induce il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso).
Un importo così elevato è stato senz’altro determinato dalla consapevolezza da parte di GLS dell’illegittimità del programma e della falsità, ambiguità e non completezza delle informazioni rese al pubblico. Il programma, inoltre, sarebbe connotato – ancora secondo l’opinione dell’AGCM – da particolare lesione del principio generale della buona fede, anche alla luce delle aspettative che legittimamene consumatori e microimprese possono attendersi da operatori dotati di notevole forza economica e indiscussa rinomanza.
Conclusioni
È ragionevole attendersi che GLS impugni il provvedimento dell’AGCM. Vi sarà quindi forse modo per rimettere in discussione le conclusioni dell’Autorità e procedere a nuovi accertamenti in ordine alla campagna «Climate Protect».
Ad opinione di chi scrive, tuttavia, una cosa è certa: gli obiettivi ambientalisti e di profitto nell’ambito dello statuto imprenditoriale non possono essere in conflitto tra loro. Tutt’altro, un serio e ragionato programma volto alla riduzione e compensazione delle emissioni, nonché ai ben più ampi e ambiziosi traguardi ESG, se applicato con perizia, rigore e convinzione, è lo strumento più avanzato di cui il management può dotarsi per efficientare processi, razionalizzare le risorse e intercettare la domanda.
Questa è l’era del lucro sostenibile.