Da tempo sostengo la necessità di una alleanza tra le imprese (e, in particolare, le PMI), le banche e il ceto professionale più competente e avvertito.
Indispensabile per affrontare la necessità - non più rinviabile - che il nostro sistema economico, nel suo complesso, alzi l’asticella della sua consapevolezza e qualità.
In un momento come l’attuale, infatti, occorre introdurre senza remore un metodo nuovo di aggregare e organizzare saperi e sensibilità diverse; accomunate però dalla vigile attenzione a un futuro - sempre più imminente - di inedita complessità.
Il tutto dovendo essere inquadrato nelle questioni ineludibili della scarsità delle risorse (in un pianeta sempre più aggredito da una umanità vorace) e della responsabilità che ciascuno deve assumere perché esse non siano più sprecate.
In primo luogo non bruciando ricchezza e non consumandone altra per ricostituirla.
Sotto questo cappello devono essere coordinati tutti i recenti interventi che, tentando di operare una cesura formidabile con il passato, chiedono – soprattutto alle piccole e medie imprese italiane - di cambiare pelle e di rispettare nuovi canoni nell’esercizio dell’attività economica.
Oggi, dunque, non basta più rispettare le leggi (come è richiesto a ogni persona fisica o giuridica); assolvere gli obblighi fiscali (come devono fare tutti i contribuenti); permettere la precisa ricostruzione dei propri affari con una contabilizzazione ordinata (come compete a tutti gli imprenditori); mantenere i requisiti di capitalizzazione (come, di norma, è obbligo per i soggetti che godono della responsabilità limitata).
Oggi si chiede all’impresa di dotarsi di “adeguati assetti” – non solo contabili – ma anche amministrativi e organizzativi.
E ciò non soltanto per prevedere tempestivamente le possibili crisi, sempre più frequenti e incombenti, e reagire efficacemente prima che sia troppo tardi.
Ma anche per operare con piena consapevolezza dei rischi e con strumenti efficaci ad evitare i danni da inefficienza (con le immaginabili conseguenze socialmente pregiudizievoli, sia sugli stakeholders che per il sistema nel suo complesso) e per rafforzare il proprio merito creditizio, molla indispensabile per il suo rafforzamento e la crescita.
E si pretende che essa ponga al centro dei propri fini non il tradizionale scopo di lucro - misurato da un conto economico esclusivamente quantitativo, materiale e monetario – ma il perseguimento del successo sostenibile, che si ottiene solo quando l’utile dell’attività di impresa contribuisce all’utilità generale.
Obbiettivo che richiede quindi di adottare nell’operatività economica tutti quei criteri che dovrebbero guidarla – e misurarla – nell’assunzione delle responsabilità più “alte” delle quali l’Imprenditore si fa carico nei confronti propri e dell’ambiente nel quale opera.
In questo quadro - nel quale la gestione dei rischi, a partire dall’analisi dello scenario politico, economico e legale nel quale l’impresa opera, costituisce elemento portante degli adeguati assetti – si inserisce a pieno titolo anche il versante del Tax Control Framework.
E lo fa in modo essenziale ed esemplare, finalmente creando le condizioni per un radicale cambiamento di rotta nei rapporti tra Fisco e imprese.
Il passaggio dalla “escapologia” al confronto e alla collaborazione è una sfida che, ovviamente, riguarda la Pubblica Amministrazione quanto, se non di più, il mondo imprenditoriale.
Ma è un passaggio epitomico e quasi evangelizzante per un mondo che deve affrontare una vera rivoluzione culturale e lo potrà fare solo attraverso un’alleanza con il ceto bancario e quello professionale.
Una sfida alla quale, infine, anche quest’ultimo dovrà giungere adeguatamente preparato.
Ci sono praterie da percorrere, ma potranno farlo solo coloro che cavalcheranno i cavalli più veloci e resistenti. E che sceglieranno i compagni di strada più adatti.