Gentili per legge: istituzionalizzare la gentilezza in scuole e uffici può cambiare la realtà?
di Chiara Forino
A quante persone hai regalato un sorriso questa settimana? Quante volte hai ringraziato per un’attenzione, un gesto gentile o una manifestazione di empatia? Sapresti dire quante volte hai agito in prima persona per far sentire bene chi ti stava di fronte?
Sono domande che personalmente mi faccio ogni giorno, ma oggi, a una settimana dalla Giornata Mondiale della Gentilezza, hanno ancora più peso.
La settimana scorsa, infatti, ricorreva l’anniversario della conferenza del World Kindness Movement tenutasi a Tokyo nel 1997. In quell’occasione, 27 Paesi firmarono la “Dichiarazione della Gentilezza”, impegnandosi a promuovere un movimento internazionale fondato sul dialogo, l’empatia, la solidarietà e la cooperazione. In tutta Italia si sono tenuti eventi, festival e convegni in cui si è celebrato il valore di quello che l’ormai onnipresente AI definisce “comportamento benevolo e rispettoso, caratterizzato da empatia, cortesia e considerazione verso gli altri e se stessi”.
Poi, come dice il detto, “passato il santo, passata la festa”. I riflettori si spengono e si torna alle solite abitudini, in un’Italia sempre più a due velocità, anche nelle interazioni professionali (e personali).
Da un lato, aziende e realtà sempre più attente a creare contesti lavorativi sani, rispettosi e inclusivi, che promuovono la gentilezza come atteggiamento quotidiano, non (solo) con corsi e certificazioni (ESG, Best Place to Work, DEI), ma con il sincero proposito di fare stare bene le persone, avendo in cambio un ritorno non solo umano, ma economico. I dati, infatti, confermano che questa scelta aumenta la motivazione, il coinvolgimento e l’impegno del personale, che, nel tempo, si traducono in una maggiore produttività e capacità di affrontare eventuali crisi e difficoltà, interne ed esterne all’impresa.
Dall’altro, però, ci sono ancora tante (troppe) realtà lontane anni luce da questa visione e che, anzi, in sfregio a qualsiasi regola di buon senso, prima ancora che di legge, continuano a coltivare ambienti tossici, fatti di lavoro nero o sottopagato, micro-management, discriminazioni, violenze verbali, mobbing, demansionamento, sfruttamento e di tutti quei comportamenti che si traducono in un turn-over vorticoso, in una passiva rassegnazione fatta di produttività al minimo e in conflitti più o meno espliciti che spesso portano a vertenze, “carte bollate” e processi onerosi e logoranti per tutti.
Forse, però, le cose stanno per cambiare. Al già ricco sistema normativo che cerca, nel nostro Paese, di distinguere i comportamenti corretti (rectius, legali) da quelli da sanzionare, a breve potrebbe aggiungersi il “Kindness Act”. Proprio venerdì 13 novembre, infatti la Presidente del MIG (Movimento Italiano per la Gentilezza), Natalia Re, ha presentato una proposta di legge, affidata alla Presidente della Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere, on. Martina Semenzato, per istituzionalizzare la Gentilezza.
La proposta comprende, da quanto è trapelato dalla stampa, due testi rivolti al mondo dell’istruzione, con l’obiettivo di introdurre la gentilezza come metodo educativo e come strumento di prevenzione contro il bullismo, e al mondo del lavoro e della Pubblica Amministrazione, al fine di creare ambienti professionali “inclusivi, rispettosi, liberi da molestie e discriminazioni”, oltre alla proposta di riconoscere la gentilezza come nuovo indicatore socio-culturale nell’ambito dei BES (Benessere Equo e Sostenibile) dell’ISTAT.
Un “atto simbolico”, secondo la promotrice, ma dovuto, per riconoscere ufficialmente la gentilezza come valore costitutivo della convivenza civile e principio strutturale misurabile all’interno della società. In sintesi, una norma per costruire consapevolezza e una maggiore coscienza civile.
L’idea di istituzionalizzare la gentilezza, “imbrigliandola” o promuovendola attraverso disposizioni di legge, non è nuova. Il Giappone, noto in tutto il mondo per l’estrema educazione e cortesia dei suoi abitanti, ha storicamente adottato leggi che promuovono il rispetto reciproco e l’inclusione culturale e, sin dalle scuole d’infanzia, prevede un Programma di Educazione alla Tolleranza in cui si insegna ai giovani l’importanza della gentilezza e del rispetto. Oltreoceano, il sistema giuridico del Canada dal 1988 comprende il Multiculturalism Act, una legge federale che promuove la multiculturalità come valore fondamentale della società canadese. Il Paese più felice del mondo, il Bhutan, tra le linee guida per valutare e indirizzare le politiche pubbliche, ha adottato la misura della Felicità Interna Lorda (GNH), in cui si considerano non solo lo sviluppo economico, ma anche la conservazione culturale, la protezione dell’ambiente e le buone politiche di governance, in alternativa al prodotto interno lordo (PIL) tradizionale. Nei Paesi Scandinavi gentilezza, rispetto e inclusione sono promossi come parte integrante delle politiche pubbliche, mentre in molti Paesi del mondo si promuovono leggi e iniziative locali per combattere bullismo e violenza, con particolare attenzione al mondo della scuola.
Ma è questa la gentilezza? La via per evitare violazioni di legge, anche gravi, come possono essere il bullismo, la violenza o le discriminazioni e le molestie sul lavoro? Oppure è la scelta quotidiana di agire con rispetto ed empatia, gratuita, ma impegnativa, che richiede volontà, consapevolezza e una certa solidità emotiva?
Andando oltre i lodevoli propositi della proposta e dei tentativi normativi che negli anni hanno cercato di indirizzare e promuovere una società inclusiva, sostenibile e rispettosa, il dettato normativo da solo non può bastare ad educare all’empatia. Né a scardinare le cause che, di contro, alimentano comportamenti discriminatori, offensivi o violenti.
Sicuramente le campagne di sensibilizzazione, come una formazione continua sin dall’infanzia, possono aiutare a comprendere il valore etico della gentilezza e il costo, in termini economici, sociali e clinici dei rapporti umani privi di questa caratteristica. Diversi studi, infatti, oltre ad avere individuato una relazione tra gentilezza e risultati economici, hanno evidenziato che essere gentili (e ricevere gentilezza) ha effetti positivi sulla salute personale: sembra infatti che questa attitudine rafforzi il sistema immunitario, riduca lo stress e migliori la qualità del sonno, generando un impatto positivo sull’individuo e, di conseguenza, sulla collettività.
La gentilezza non va scambiata per debolezza: è, invece, un segno di grande coraggio. Un coraggio che, grazie anche alla norma ipotizzata, può trovare il riconoscimento che merita. Perché, anche se il termine è forte, innegabilmente ci vogliono forza e coraggio a rompere gli schemi e ad essere gentili in contesti caratterizzati da divisioni e tensioni o, semplicemente, incertezza.
Un coraggio che viene ampiamente ripagato - chi scrive può riportarlo per esperienza - non solo dalla piacevole sensazione di intravedere una luce diversa negli occhi della “controparte”, ma anche dal trovarsi in un contesto sano, costruttivo e sicuro in cui lavorare e vivere, in cui i legami sono costruiti sulla fiducia e sul rispetto reciproco.
In conclusione, la gentilezza non è una certificazione da ottenere come un trofeo da esporre nella bacheca aziendale, col palese rischio del boomerang del “kindwashing”, ma un modello di comportamento da coltivare quotidianamente, per fare la propria parte nel costruire una società più giusta e più coesa.
“Guardare oltre noi stessi”, il motto del World Kindness Movement, apre la strada a una società in cui al centro c’è la dignità di ogni persona, in cui la gentilezza è il motore di un profondo cambiamento sociale, un linguaggio universale che può ispirare tutti ad essere più sicuri, più gentili e, in definitiva, più felici.


