Gender gap nelle libere professioni: aumentano le professioniste, non le tutele
di Tania Stefanutto
Lo scorso 13 marzo Confprofessioni ha reso pubblico il Rapporto “Le priorità strategiche per la parità di genere nelle libere professioni”. Il documento analizza lo stato dell’arte del gender gap nel mondo delle libere professioni – non solo quelle ordinistiche – confrontandolo, per alcuni aspetti, con quello dei dipendenti pubblici, non limitandosi al solo gender pay gap, ma analizzando la vita, la carriera e la “libertà” delle libere professioniste.
Il Rapporto affronta il gender gap relativo ad aspetti “misurabili”, come la presenza delle donne nelle professioni (in netta crescita), il differenziale di reddito (meno ampio solo nelle professioni non ordinistiche), delle competenze STEM (con una presenza maschile massiccia) e delle posizioni di potere (anche qui a prevalente guida maschile); tuttavia, si concentra anche su una variabile spesso tralasciata: il tempo e la sua incidenza sulle opportunità di carriera.
Tempo ovvero capacità di conciliare impegni personali (esterni al lavoro) e vita lavorativa, cura dei figli e carriera: in poche parole il Rapporto misura quanto le variabili familiari incidono nel mondo delle libere professioni, evidenziando come l’aggettivo “libera” in realtà celi situazioni di “sovraccarico e rinuncia”.
I risultati sono sconcertanti nella loro prevedibilità: il 36,6 per cento delle donne non subisce cambiamenti nella propria vita professionale dopo la nascita del primo figlio, mentre la percentuale è del 68,3 percento per gli uomini. In poche parole due donne su tre hanno un impatto sulle possibilità di carriera a fronte di un uomo su tre.
L’analisi si estende poi ad una comparazione della maternità tra libere professioniste e lavoratrici dipendenti; qui emerge un disallineamento di tutele: chi risulta dipendente può godere di un periodo di maternità di 5 mesi, mentre le libere professioniste, nella realtà, si assentano dal lavoro tra le due e le tre settimane.
In piena controtendenza occorre segnalare invece quanto sta succedendo nel mondo dello sport, dove le sportive professioniste sono a pieno titolo delle libere professioniste; per le tenniste è stato creato un sistema di tutela della maternità: indennità di maternità di massimo 12 mesi, congedo parentale di due mesi in caso di maternità surrogata, sostegno finanziario al congelamento degli ovuli e altri benefit legati alla condizione di madre. La WTA e il fondo sovrano saudita PIF hanno creato un fondo che consente alle tenniste di “sospendere” la propria carriera, senza per questo perdere ranking, ma soprattutto “entrate”, e decidere liberamente di diventare madri o di congelare gli ovuli per il futuro.
Ogni singola atleta professionista sarà libera di decidere se e quando essere madre, senza per questo rinunciare alla carriera o comprometterla seriamente, dimostrando così di aver compreso che parità di genere vuol dire libertà di scelta.
Ben diversa è la situazione delle “libere” professioniste per cui le tutele sono alquanto scarse, tanto da giungere al punto che quattro donne su cinque (under 45 anni) considerano la maternità un ostacolo allo sviluppo lavorativo, anche in considerazione della mancanza di tempo da dedicare all’attività professionale: nella fascia di età 35-44 anni gli uomini dedicano mediamente 8 ore a settimana in più delle donne al lavoro, ore che le donne devono invece dedicare agli impegni extralavorativi. Quasi il 40 per cento delle donne deve infatti dedicarsi alla cura dei figli o degli ascendenti non autosufficienti, a fronte di poco più del 10 per cento degli uomini.
Nel Rapporto si evidenzia anche come le donne non solo siano penalizzate da un punto di vista retributivo e di carriera a causa dei propri impegni extralavorativi, ma siano le prime a rinunciare alla cura di sé stesse in caso di presenza di familiari da accudire (sono le sole a disdire una visita se coincide con una situazione di emergenza familiare).
Il Rapporto quindi dipinge un mondo professionale che tiene sempre meno in considerazione la condizione femminile; ma come cambiare paradigma?
Occorre prendere spunto dal mondo sportivo: le tenniste hanno fatto comprendere che gli incentivi a sostegno della maternità sono uno strumento validissimo per la libera scelta delle donne di entrare nel mondo del lavoro, impegnarsi e ottenere ottimi risultati, sapendo che l’arrivo di un figlio non diventerà un ostacolo. Ecco che allora il sistema premiale in favore delle donne, e non delle imprese, può diventare un volano vincente per la riduzione del gender gap e può consentire alle donne di affrontare con serenità la maternità, ovviamente in partnership con il ruolo attivo delle istituzioni nel sostenere il sistema degli aiuti (ad esempio, orari allungati degli asili nido, delle scuole e promozioni di attività di dopo scuola).