Futura – Immagina il tuo studio professionale tra 5 anni. Episodio 0 - L’inizio dell’inizio.
di Massimo Pezzini
Per raccontare perché nascono le cose non c’è modo migliore di raccontare come nascono queste cose. E per farlo, adesso, mi basta parlare dello stupore, uno strano animale al quale forse, non siamo più molto abituati. E in questo caso il mio stupore coincide con un telefono che squilla: “Massimo, vorremmo lanciare una rubrica visionaria, che provi a interrogarsi su come saranno gli studi professionali del futuro, considerando che l’intelligenza artificiale è oramai il nostro ambiente. Qualcosa che li racconti e che provi ad immaginarli davvero. Mi sei venuto in mente tu. Che ne pensi? Serve un nome della rubrica, un buon taglio, la giusta direzione. Pensaci. Ciao.”
Ora, io ho un’abitudine: quando vado da qualche parte, spesso mi faccio accompagnare dalla musica della destinazione in cui sto andando. E in quel momento esatto stavo guidando verso Bologna in compagnia di Lucio Dalla. In un attimo parte un suo pezzo meraviglioso. Futura.
Una canzone che parla di qualcosa che deve nascere e si chiede “come sarà”. E poi parla di chi ancora non è pronto. E allora ho pensato: e se fosse questo il nome della rubrica? In fondo c’è anima. E anche la promessa. Futura, si chiamerà Futura.
Del resto, è innegabile, ci sono studi professionali che non hanno ancora fatto i conti con il cambiamento, non per paura, ma perché fanno altro, perché non hanno tempo, e non sono pronti, magari non sono indietro, sono semplicemente altrove. Immersi nel lavoro fino al collo, con l’acqua che a volte arriva agli occhi. E non alzano la testa non per paura, ma perché non hanno tempo. Non riescono. Altri non vogliono vederlo, il futuro.
E allora, serve qualcosa per raccontare tutto questo? Sì. Credo di sì. Serve qualcosa che dia un’immagine nitida di come potrebbe essere quel futuro. Ma già oggi. Ecco.
Né per spaventare né per rassicurare, ma per dare qualche strattone. Per provare a svegliarsi dal torpore, raccontare che il domani non è una minaccia, ma qualcosa che chiederà un adattamento forte, questo sì. Qualcosa che ci porterà a sbagliare di più e a correggerci, a disimparare per imparare altro. In fondo serve sempre qualcosa che ci aiuti a guardare avanti senza tremare con quella leggerezza un po’ ostinata di chi si prepara a una mano di poker sapendo che, comunque vada, valga sempre la pena giocarsela.
Faremo in modo che conoscenza e consapevolezza diventino l’antidoto alla paura. Racconteremo davvero il futuro, e anche per questo sarà uno spazio per temerari. Non nel senso epico, ma per quelli che guardano l’intelligenza artificiale e invece di spaventarsi, si slacciano i bottoni dei polsini della camicia, si tirano su le maniche e si chiedono: “ok, se è così, vediamo cosa posso fare!”.
Sarà per tutti: ottimisti, apocalittici, scettici cronici del “non ce la faremo mai”, quelli che “finirà tutto male” o “non si arriverà a tanto…”. Perché ogni storia ha bisogno del suo antagonista: senza l’ombra la luce non risalta, senza qualcuno che dice “non funzionerà”, non c’è nessuno che può rispondere “guarda, ce l’ho fatta!”.
Insomma, credo abbiate capito. Futura non sarà una guida, né un manuale d’istruzioni da seguire passo passo. Sarà immergersi nello studio del futuro simulandolo.
Perché Futura nasce così: da un’idea folle (dove immaginare in un’epoca dove tutto sembra già immaginato, in fondo può sembrare strampalato e impossibile), una telefonata e una canzone. Da un nome che parla di nascita. E da un mestiere, quello del professionista, che può avere ancora tutta la vita davanti, per chi avrà voglia di fantasia.
E allora come dice Lucio Dalla “Chissà, chissà domani”. È tutto racchiuso in quel “chissà” iniziale della canzone. Ma possiamo fare tutto il nostro meglio per interrogarci, immaginarlo quel domani e fare quel che c’è da fare. Insieme se possibile. Questo è. E sarebbe già molto.
Ma con Futura faremo un passo diverso: non ci limiteremo a chiederci come sarà. Perché quel domani lo faremo già arrivare. Finalmente.
Ci sposteremo cinque anni avanti, senza permesso, e racconteremo degli studi come se fossimo già lì: dentro la loro quotidianità futura, nelle loro abitudini che oggi non esistono ancora, nei modi nuovi di lavorare che stanno germogliando ma che la tecnologia sta facendo andare a x10 di velocità come i messaggi di whatsapp, perché tempo sembra non essercene mai abbastanza.
Tanto il futuro è sempre stato un bersaglio mobile: quando cerchi di afferrarlo, cambia direzione. E lo abbiamo inseguito per anni in congressi, corsi su “lo studio del domani”, panel che promettevano mappe e visioni. Così è troppo facile: il futuro a furia di spostarlo in là rischia di diventare come l’isola che non c’è. E allora, se continua a correre…tanto vale giocare d’anticipo.
Futura non racconterà ciò che forse accadrà: racconterà come se fosse già accaduto, solo che non abbiamo ancora avuto il tempo o il coraggio di vederlo. Ci siederemo in mezzo a quel “cinque anni dopo” e useremo quella prospettiva per capire meglio l’oggi. Sarà uno strappo temporale a metà tra un trucco da prestigiatore e uno sforzo di immaginazione collettiva che darà un po’ di senso di vertigine. Ma sarà in quel vuoto che insieme capiremo (speriamo) finalmente le cose. Quello che sarà.
Perché questo possiamo fare: interrogarci, e tuffarci in questo futuro già arrivato, cominciando a raccontarlo una volta per tutte, per non andare avanti a sentire continuamente fino a farci scoppiare le orecchie che l’Ai non ci sostituirà, che ci potenzierà e tutte questa roba che ormai non ce la facciamo più a sentirla perché spesso è l’Ai stessa a scriverla e forse ci sta già un po’ manipolando. Quindi?
Quindi è l’inizio dell’inizio. E ora si cammina. Perché oggi è già futuro.


