FUTURA – 2030: le banche dati e gli aggiornamenti fiscali non ci sono più – Episodio 1
di Massimo Pezzini
Non saprei dire con precisione che ora fosse quando ho aperto gli occhi. Presto. O forse ero io in colpevole ritardo sulla tabella di marcia. La luce che filtra dalle persiane non mi aiuta: lame dalla geometria perfetta si appoggiano sul pavimento. Resto seduto ancora un istante sulla poltroncina in pelle, quella con il bracciolo sinistro consumato dal gomito per le letture dei troppi bilanci portati a casa e chiusi a notte fonda. Qualcosa è cambiato. Più di qualcosa. Da qualche tempo provo quella sensazione strana che si ha quando ti svegliano nel cuore della notte e hai bisogno di riferimenti per orientarti.
Bologna è lì fuori, con i portici che si allungano nella foschia mattutina, sospesi in un tempo indefinito. Scendo le scale, raggiungo l’auto e il silenzio del motore mi porta a pensare a quella frase di Elon Musk. Forse era il 2025: “Nel 2027 l’umanità arriverà al punto di non ritorno.” Avevo riso, insieme ad alcuni colleghi. Ci era sembrata l’ennesima sparata. Invece non avevamo capito noi, e adesso che siamo nel 2030 mi brucia ammettere che aveva ragione. Lo penso mentre guardo la mia auto che guida da sola verso l’ufficio, e guida meglio di me in alcune mattine partite male. Forse anche di quelle che partivano bene. Sono questi dettagli, sempre più pervasivi nella mia vita, ad aver trasformato una domanda in un martello costante nella mia testa: “Leone, sei sicuro di servire ancora a qualcosa?”
Mi chiamo Leone Ardenti. Ho cinquant’anni, un’età che nel 2030 ti mette esattamente nel mezzo: non sei troppo vecchio per ignorare il passato e sei troppo giovane per poterti permettere di non capire il futuro. L’essere commercialista non mi ha risparmiato dal dovermi piegare a fare anche un po’ il content creator.
Futura è il mio piccolo studio, che oggi preferisco chiamare “studio boutique”. Mi sembra giustifichi meglio il ridimensionamento che con i miei soci abbiamo dovuto attuare negli ultimi anni per restare sul mercato. E mentre la mia auto mi ha già sostituito al sedile di guida, penso ai miei due soci, le altre due gambe di questo tavolo che cerchiamo di tenere in equilibrio nonostante il vento forte che soffia sulle professioni.
Abbiamo dovuto fare il salto, per sopravvivere. E oggi mi basta parlare e interagire con una piccola sfera di vetro che mette ordine anche ai miei pensieri più sconclusionati. Si chiama Ora. Il merito è suo. “O”, la chiama Bruno, l’altro socio dello studio, quando pensa che non lo senta.
Ora non è un’assistente virtuale. Non ha la voce metallica e un po’ inquietante di un tempo, non dà comandi.
È una presenza diffusa, un tessuto connettivo invisibile che abita i server, le mail, i muri stessi dello studio e qualunque cosa possa essere connessa a una rete. Unisce e arricchisce le informazioni che capta da tutte le fonti. Spesso prima ancora che arrivino forti e chiare. Soltanto con le informazioni, capita che intercetti collegamenti che la mente biologica non aveva previsto né saprebbe immaginare.
E poi fa domande. Una dopo l’altra. Per capire tutto. Meglio. È come se fosse assetata di informazioni e noi ci rendiamo conto che non è più possibile non dargliele, perché alla fine ciò che esce ci sembra magia e ci semplifica la vita. E se c’è una cosa alla quale non mi sono ancora abituato, è che non ragiona per algoritmi. Parla con la familiarità di qualcuno che ti conosce fin troppo bene, una vecchia zia che sa tutti i tuoi segreti ma ha la decenza di non raccontarli a cena. Per Bruno Ferralis, maniaco del tempo, non è stato facile accettare il cambiamento e qualcuno che lo battesse sul suo stesso campo organizzandolo meglio e in modo sorprendentemente più efficiente.
Poi c’è Nora Vitale, la nostra sociologa prestata alla consulenza del lavoro. L’unica persona che conosco capace di percepire il cambiamento prima che arrivi, come quelle statuette che cambiavano colore anticipando il bello o il cattivo tempo. Ha questo talento misterioso di ascoltare i silenzi e leggere la stanchezza delle persone. Se Ora è la coscienza digitale dello studio, Nora è quella umana.
Arrivo allo studio un minuto prima delle 8:30. La porta a vetri riconosce il mio volto. “Buongiorno Leone.” Entro. Ed è spaventosamente buffo come il futuro non si presenti mai con ciò che porta, ma con ciò che toglie.
Per questo negli ultimi tempi faccio più caso a ciò che non c’è più. Il ronzio dei server, l’odore del toner che per anni è stato come incenso nello studio. I faldoni impilati con le scritte smunte e i foglietti gialli appiccicati ai monitor come ex-voto.
Ma ci sono anche assenze ancora più pesanti. Quelle intellettuali, che ancora oggi fatico ad accettare. Le banche dati, ad esempio. Evaporate. Assorbite da Ora come fossimo tornati all’epoca in cui il sapere passava di bocca in bocca, solo che adesso la bocca è una rete che non dorme mai. A differenza delle innovazioni di un tempo che passavano dal cervello e davano la percezione che sarebbero arrivate, oggi non è più così. È come se non passassero più dalla testa. Iniziamo a usarle, soppiantano abitudini e oggetti senza che ce ne accorgiamo.
La prima volta che l’ho realizzato è stato un colpo allo stomaco: niente codici commentati, niente ricerche infinite, niente aggiornamenti settimanali. L’intero sapere tecnico, anni di commentari, giurisprudenza, circolari…tutto confluito in Ora. Oggi la conoscenza è monopolio della rete che la possiede. E Ora setaccia tutto, collega, riscrive, anticipa. Ogni giorno, mentre vado in studio, Ora mi racconta tutti gli aggiornamenti fiscali. Li posso esplorare in modo chirurgico e analizzare con lei come se stessi parlando con un collega che ha fatto solo quello per anni. In studio leggiamo e ascoltiamo quasi solo Blast. Ci sembra sia rimasto uno dei pochi luoghi dove la riflessione non è stata polverizzata dalla velocità. Un pensiero libero e imprevedibile, fuori dagli schemi. È strano come l’evoluzione sia riuscita a non togliere l’informazione ma ad eliminare in modo chirurgico il contenitore. Così ci siamo ritrovati in un mondo in cui la conoscenza è dappertutto, tranne dove l’abbiamo cercata per secoli.
Passo nel corridoio e incrocio le truppe di terra, i più valorosi. Quelli rimasti. Solo adesso che le cose si sono fatte semplici e velocissime, inizio a comprendere quanto non lo fossero quando per me tutta quella cosa era solo “roba operativa”. Valerio cammina veloce, con la testa bassa, riflessivo, forse per qualche questione del giorno prima. Cecilia osserva tutto con quell’aria vispa e il naso all’insù di chi ancora vuole annusare le sfumature. L’abbiamo tenuta per questo. La sua curiosità ha sempre fatto la differenza nel nostro studio.
Davide mastica la sua solita gomma alla menta con un ritmo costante, un battito cardiaco udibile nel silenzio.
Entriamo negli uffici, anche se non servirebbe essere presenti fisicamente. Ora dialoga con i nostri smartphone e sa sempre dove siamo o quando arriveremo. Ha tutti i nostri dati biometrici e monitora la nostra salute, segnalandoci quando dobbiamo rallentare per evitare un accumulo di stress. Nonostante il tempo che si è liberato, la routine della puntualità l’abbiamo mantenuta. Certe cose che hai fatto per una vita non le cambi. E il ritrovarsi, restando aggrappati a questa abitudine, è per noi quasi un atto di resistenza civile.
La mia sedia ergonomica si adatta al mio peso con un sussurro pneumatico. Bruno continua a tenere sulla scrivania un’agenda di carta. Solo per nostalgia. Nora si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, una specie di rituale prima di ogni inizio. Quando mi siedo, lo schermo, che fino a un attimo prima era solo una lastra opaca, si accende riconoscendo il mio volto ancora un po’ assonnato. Si era spento coi flussi di cassa del giorno prima e ha già macinato la notte: processando fatture, riconciliando conti, inviando alert. Il lavoro meccanico non esiste più: Ora l’ha inghiottito in silenzio. Sul monitor principale compare un battito di luce e una scritta: “Analisi completata. Output pronti.” Bruno smette di tormentare il cinturino dell’orologio e fissa la riga di codice.
Vedo Valerio e Cecilia restare immobili: il riflesso condizionato di una generazione che ha smesso di cercare le soluzioni dentro di sé perché c’è sempre un algoritmo che le sforna già calde e pronte da divorare.
Io, da uomo della vecchia guardia, mi chiedo spesso se sappiamo ancora far girare i pensieri senza una spinta digitale, o se tolti i binari di Ora siamo ancora capaci di un pensiero laterale. O se siamo diventati semplici correttori di bozze per macchine più intelligenti di noi.
Nora rompe l’incantesimo: la sua curiosità l’ha sempre resa la più brava a spezzare la catena ipnotica della tecnologia che ci porta in giro come il pifferaio magico. Si gira e dice: «Non ci sta chiedendo se mancano documenti. Ci sta dicendo che la procedura è perfetta, ma vuota. Manca l’attrito. Quella fatica di decidere che un tempo ci rendeva necessari. Se smettiamo di porci dubbi e lasciamo che sia lei a prevedere ogni mossa del cliente perché “i dati dicono così”, cosa resta del nostro intuito?»
In quell’istante la domanda di Ora smette di essere un messaggio di sistema e diventa, ancora una volta, uno specchio. Ci sta costringendo a guardare nel punto cieco che evitiamo da anni: sparire per troppa perfezione.
La luce di Ora inizia a pulsare. Sotto la solita dashboard appare una notifica prioritaria che non riguarda la contabilità. È un’analisi predittiva sul nostro cliente storico, uno di quelli che tengono in piedi lo studio.
“Rilevata anomalia comportamentale nel flusso decisionale del Cliente. Probabilità di recesso entro 48 ore: 87 per cento. Azione suggerita: Nessuna. Analisi terminata.” Cala il gelo. Bruno guarda lo schermo, poi guarda me.
«Leone, i numeri dicono che è tutto a posto, ma Ora dice che il cliente andrà via. E dice che non c’è niente da fare perché… non trova una logica nel suo comportamento.»
Mi alzo lentamente. Se l’algoritmo ha deciso che non c’è una soluzione logica, allora la partita è finita.
O forse è proprio qui che inizia la nostra. Guardo Nora, che ha già la borsa in mano. «Ora non vede la soluzione perché la soluzione non è nei dati», dico.
«Tra un’ora dobbiamo essere da lui. Dobbiamo capire cosa Ora non può prevedere.»


