Qualche giorno fa l’ANSA ha riportato una notizia: la Lega starebbe lavorando a una flat tax al 5% per gli under 30 assunti a tempo indeterminato. Il bonus durerebbe tre anni, estendibile agli under 36 se rientrano dall’estero. È una proposta di emendamento alla manovra.
Quando leggi queste notizie, ormai, non ti sorprendi più. Anzi, sorridi. Perché in Italia di flat tax ne abbiamo già venticinque. Dalla cedolare secca sugli affitti, al regime forfettario per le partite IVA. Dall’imposta sostitutiva sul TFR, al differenziale tra reddito concordato e reddito rilevante ai fini del calcolo. Ne abbiamo così tante che ormai l’IRPEF progressiva viene assolta soltanto da una minoranza di contribuenti. Tutti gli altri stanno dentro uno dei tanti regimi agevolati a tassazione piatta. Il problema non è che la flat tax in Italia non esiste. Il problema è che quella promessa fatta trent’anni fa era un’altra cosa: aliquota unica per tutti, la rivoluzione fiscale, il “pagare meno per pagare tutti”. Quella non c’è mai stata. Ma chissà perché torna sempre. Come la rottamazione: puntuale come il cambio di stagione. Solo che la rottamazione almeno alla quinta edizione ci è arrivata davvero. La flat tax (intesa come aliquota unica per tutti), invece, dopo trent’anni è ancora lì, sulla carta. O meglio, sulle slide delle campagne elettorali.
Facciamo un passo indietro. Anzi, facciamo trenta passi indietro.
1994: la prima volta non si scorda mai
Silvio Berlusconi scende in campo. Nel programma elettorale di Forza Italia c’è scritto nero su bianco: aliquota unica Irpef al 33% per tutti. Niente scaglioni, niente progressività. Una percentuale sola, uguale per il muratore e per l’industriale. È la rivoluzione fiscale che cambierà l’Italia. Il Governo dura sette mesi. La flat tax, zero secondi.
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