“La nuova generazione è sempre peggiore della precedente, fino a quando non diventiamo noi stessi la generazione precedente.” (Anonimo)
Negli ultimi anni, entrando in uno studio professionale, non è raro ascoltare le lamentele dei titolari riguardo i giovani collaboratori o praticanti: "Non hanno voglia di fare sacrifici", "Pensano solo al work-life balance", "Non sono disposti a fare le ore piccole come facevamo noi", "Dopo due anni già vogliono uno stipendio da manager". Vi suona familiare? Probabilmente sì, se siete titolari o partner di uno studio professionale.
La generazione Z, quella dei nati tra il 1997 e il 2012, sta entrando nel mondo del lavoro con valori, aspettative e modalità di approccio completamente diverse dalle generazioni precedenti. E gli studi professionali, tradizionalmente ancorati a modelli organizzativi verticistici e basati sul "pagare il prezzo" prima di raccogliere i frutti, si trovano particolarmente spiazzati da questi cambiamenti.
La tempesta perfetta che ha travolto gli studi tradizionali
La questione dei giovani negli studi professionali non è certo nuova, ma negli ultimi anni ha assunto i contorni di quello che potremmo definire un perfetto tsunami. Dal 2020, la pandemia ha accelerato un processo già avviato, mettendo in discussione i modelli organizzativi tradizionali. Lo smart working ha dimostrato che si può essere produttivi senza necessariamente fare le ore piccole in studio, e i giovani l'hanno capito subito.
Ma non è solo questo. Le nuove generazioni sono cresciute in un contesto di incertezza economica – la crisi del 2008 è un ricordo vivido per loro – e hanno sviluppato un approccio pragmatico al lavoro. Per intenderci: l'equilibrio tra vita professionale e personale non è un benefit, ma un elemento non negoziabile del contratto. C'è poi il fattore digitalizzazione. I nativi digitali faticano a comprendere (e accettare) procedure manuali e ridondanti che percepiscono come uno spreco di tempo prezioso. E quando il mercato offre alternative – grandi aziende strutturate con percorsi di carriera definiti e pacchetti retributivi competitivi – la scelta per loro diventa semplice.
Risultato? I giovani entrano negli studi, acquisiscono esperienza per un paio d'anni e poi emigrano verso lidi che percepiscono come più accoglienti e stimolanti. Il famoso "pagare dazio" per arrivare al successo, che ha caratterizzato il percorso professionale di molti di noi, per loro non ha senso.
Investire sui giovani : strategia o spreco?
Molti titolari si domandano: perché investire tempo ed energie per fidelizzare questi giovani che se ne andranno comunque? Domanda legittima, ma che nasconde un approccio miope. Il costo del turnover è molto più alto di quanto generalmente si pensi. Secondo studi recenti, sostituire un collaboratore può costare fino al 150 per cento del suo stipendio annuo. E non parliamo solo di costi diretti per selezione e formazione, ma anche dell'impatto sui clienti che si trovano a interfacciarsi con figure professionali sempre diverse. La continuità del servizio non è un dettaglio, è un valore fondamentale. I clienti si affezionano non solo al titolare, ma anche ai collaboratori con cui interagiscono quotidianamente. Un turnover elevato può compromettere la percezione di affidabilità dello studio.
C'è poi la questione del trasferimento del know-how. Se i giovani non rimangono abbastanza a lungo per assorbire la cultura e le competenze distintive dello studio, si interrompe quel ciclo vitale che permette la continuità generazionale. E in un mercato sempre più polarizzato, gli studi che non sapranno essere attrattivi per i giovani professionisti saranno destinati o a un lento declino o a ridursi in nicchie sempre più ristrette. Insomma, fidelizzare i giovani non è solo un costo a breve termine, ma un investimento strategico per la sostenibilità dello studio nel medio-lungo periodo.
La domanda non è se possiamo permetterci di investire sui giovani, ma se possiamo permetterci di non farlo.
Azioni concrete: come trasformare lo studio
Ora veniamo al sodo: cosa possiamo fare concretamente per attrarre e mantenere i giovani talenti? Non si tratta di sovvertire la tradizione professionale, ma di evolverla per renderla sostenibile.
Ripensare la leadership. Diciamocelo chiaro: il modello del dominus autoritario, che dà ordini senza spiegazioni e pretende obbedienza incondizionata, è ormai un reperto archeologico. I giovani della Gen Z rispondono molto meglio a uno stile di leadership gentile, basato sull'esempio e sulla condivisione. In pratica? Dedicate tempo al mentoring, non solo alle direttive operative. Spiegate il "perché" delle richieste, non solo il "cosa" fare. Valorizzate pubblicamente i contributi positivi. E, soprattutto, siate aperti al confronto e alle nuove idee, anche quando mettono in discussione le vostre certezze.
Percorsi di crescita trasparenti. Uno dei principali motivi di insoddisfazione tra i giovani è la mancanza di una visione chiara sul proprio futuro professionale. È come navigare in mare aperto senza bussola. Definite tappe di crescita precise, con obiettivi e tempistiche. Collegate la progressione economica a parametri oggettivi. Create momenti di confronto periodici sullo sviluppo professionale. E, soprattutto, siate trasparenti sulle reali possibilità di partnership future.
Digitalizzazione dello studio. Per i nativi digitali, lavorare con strumenti obsoleti o processi manuali è semplicemente incomprensibile, come chiedere a un pilota di F1 di guidare un calesse. Dotate lo studio di gestionali moderni e integrati, implementate strumenti di collaborazione digitale, automatizzate i processi ripetitivi. E, cosa non secondaria, siate aperti all'innovazione tecnologica proposta dai giovani, che spesso hanno il polso dei trend emergenti.
Ripensare spazi e tempi. L'ufficio tradizionale con orari rigidi sta cedendo il passo a modelli più flessibili, e gli studi più lungimiranti lo hanno già capito. Introducete politiche di smart working strutturate, riprogettate gli spazi fisici per favorire collaborazione e benessere, passate da una cultura della presenza a una cultura dei risultati. E, questione non negoziabile, rispettate realmente i tempi di riposo e disconnessione.
Una nuova mentalità per un nuovo studio
La fidelizzazione dei giovani non è solo questione di tecniche o strumenti, ma richiede un vero cambio di paradigma culturale. Non si tratta di "cedere" alle richieste dei giovani o di "abbassare l'asticella", ma di evolvere verso modelli organizzativi più moderni ed efficaci.
Gli studi devono interpretare questa sfida come un'opportunità di rinnovamento e non come una minaccia ai valori tradizionali. La strada non è semplice, ma come diceva Albert Einstein, "non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose". È il momento di reinventare lo studio professionale per garantirne la vitalità e la rilevanza nel futuro che ci attende. Abbiamo altra scelta? No.