È “reddito diverso” la successiva ripartizione tra i soci del prezzo ricavato dalla cessione delle partecipazioni
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Con la risposta n. 50 del 27 febbraio 2025, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in occasione di una cessione di quote ad un terzo acquirente, qualora i soci cedenti, successivamente all’atto di cessione, si ripartiscano il prezzo incassato in misura diversa rispetto ai corrispettivi indicati nell’atto, la maggior somma riconosciuta ad uno dei soci rappresenta un reddito diverso ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lett. l), del Tuir, rientrando nei redditi derivanti da assunzioni di obblighi di fare, non fare o permettere.
Il caso oggetto dell’interpello è quello di due soci detentori del 49 per cento del capitale sociale di una società (24,5 per cento ciascuno), i quali hanno convenuto con il terzo socio (detentore del 51 per cento) la cessione integrale delle loro quote ad un prezzo correlato a predefiniti parametri economico-finanziari che saranno realizzati dalla società negli esercizi successivi. In vista di tale cessione, i due soci di minoranza hanno concordato tra loro, sottoscrivendo un contratto ad hoc, che il prezzo derivante dalla cessione delle rispettive quote verrà incassato dagli stessi in misura non proporzionale (alla partecipazione al capitale), sulla base dell’effettivo e diverso contributo apportato da ciascuno al raggiungimento degli obbiettivi economico finanziari previsti.
Poiché il socio acquirente ha manifestato la propria indisponibilità a corrispondere ai due soci cedenti prezzi differenziati per l'acquisto di quote di capitale sociale pariteticamente detenute, è sorto il dubbio su quale dovesse essere il reddito da tassare per effetto della transazione, se cioè si dovesse assumere il prezzo effettivamente incassato scaturente dagli accordi tra i soci, oppure il prezzo di cessione indicato nell’atto notarile con conseguente necessità di qualificare fiscalmente le somme differenziali successivamente ripartite tra i soci.
Ebbene, con la risposta all’interpello, l’Agenzia delle entrate, in disaccordo con le soluzioni proposte dall’istante, ha chiarito in prima battuta quale sia “il corrispettivo” a cui l’articolo 68, comma 6, del Tuir fa riferimento per la determinazione del capital gain, e successivamente ha “incasellato” tra i redditi diversi l’arricchimento del socio a cui vengono riconosciute somme eccedenti rispetto al prezzo di cessione della propria quota indicato nell’atto.
Afferma infatti l’Agenzia che, ai fini della determinazione dell’eventuale plusvalenza, considerato che lo statuto della società non attribuisce diritti particolari alle partecipazioni detenute da un socio, deve essere considerato il prezzo stabilito nell’atto di cessione: nella dichiarazione dei redditi, quindi, i soci dovranno confrontare il prezzo indicato nell’atto con il costo (rideterminato) della partecipazione e tassare l’eventuale differenza positiva (in caso di rideterminazione del valore delle quote non si avrà mai nessuna minusvalenza deducibile).
Con riferimento alla tassazione delle somme riconosciute da uno all’altro socio, in esecuzione dell’accordo privato, l’Agenzia ha escluso, come proposto dall’istante, che tali somme possano costituire una donazione (non tassabile ai fini delle imposte sul reddito): il prezzo viene infatti ripartito sulla base del contributo che ciascun socio avrà dato alla valorizzazione della società, e “tale circostanza consente di escludere l’esistenza dello spirito di liberalità tipico della donazione”. Pertanto, qualora le somme riconosciute al socio abbiano determinato per quest’ultimo un accrescimento patrimoniale “imputabile ad una fonte produttiva”, le stesse costituiscono redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lett. l) quali redditi derivanti da obblighi di fare, non fare o permettere.
La conclusione, dunque, è che il riparto tra i soci del corrispettivo della cessione, dà esecuzione ad un diverso contratto rispetto a quello di cessione delle quote, e pertanto, l’arricchimento scaturente dallo stesso dovrà essere tassato quale reddito diverso, in aggiunta all’eventuale tassazione della plusvalenza realizzata con la vendita della partecipazione. Un’operazione che, così congegnata, rischia di diventare molto penalizzante dal lato fiscale, se si considera che le somme da dichiarare come redditi diversi non scontano l’imposta sostitutiva, ma si cumulano agli altri redditi del socio.