È davvero speculativa la vendita di un immobile ricevuto in sede di separazione?
di Barbara Marini
Con la risposta n. 153 del 2025, l’Agenzia delle Entrate è tornata ad affrontare la delicata questione della tassazione delle plusvalenze immobiliari in caso di cessione infra-quinquennale, quando l’immobile è stato acquisito in esecuzione di accordi patrimoniali tra coniugi separati.
L’istante espone una vicenda che, nella prassi civilistica e notarile, è tutt’altro che rara. Nel 2003, in regime di separazione dei beni, aveva acquistato con la moglie un immobile, diventandone proprietario per il 50 per cento. A seguito della separazione, nel 2023, ha acquisito l’altro 50 per cento in esecuzione della relativa sentenza, senza corrispettivo in denaro, quale regolazione patrimoniale tra i coniugi.
Intendendo vendere l’intero immobile prima del decorso dei cinque anni dalla seconda acquisizione, l’istante chiede se la plusvalenza eventualmente realizzata sia imponibile ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera b) del Tuir. In via subordinata, domanda se, in caso di risposta affermativa, la tassazione riguardi solo la quota del 50 per cento acquisita nel 2023 e se, ai fini del calcolo della plusvalenza, debba prendersi come base il valore indicato nell’atto di acquisto del 2003 e non quello dell’atto di separazione né quello catastale.
L’Agenzia delle Entrate, rifacendosi alla lettera della norma e ai principi consolidati nella prassi, fornisce una risposta coerente con gli orientamenti già noti. In primo luogo, richiama la disposizione dell’articolo 67 Tuir, secondo cui costituisce reddito diverso, salvo eccezioni, la plusvalenza derivante dalla cessione, a titolo oneroso, di beni immobili acquistati da meno di cinque anni. È la ratio anti-speculativa della norma a legittimare l’imposizione: si presume che il breve intervallo tra acquisto e cessione riveli un intento lucrativo.
Nel caso di specie, il punto dirimente è la qualificazione del trasferimento avvenuto nel 2023 tra ex coniugi. Riprendendo l’impostazione già affermata nella risoluzione n. 23 (in realtà, la risposta ad interpello richiama la numero 22) del 1984, l’Agenzia delle Entrate conferma che un trasferimento effettuato in esecuzione di una sentenza di separazione consensuale, ancorché privo di esborso monetario, deve ritenersi effettuato a titolo oneroso. La causa del trasferimento, secondo l’Amministrazione, risiede infatti nello «scambio tra il valore del fabbricato ceduto e la tacitazione di ogni pretesa economica da parte dell’avente causa»: una compensazione patrimoniale che, pur non fondandosi su un corrispettivo espresso, implica un regolamento di reciproche attribuzioni con rilevanza economica.
Alla luce di tali premesse, nel caso prospettato nell’istanza, il quinquennio rilevante ai fini dell’imponibilità decorre dalla data del trasferimento avvenuto nel 2023. Qualora l’immobile venga rivenduto prima della fine del periodo, la plusvalenza sarà imponibile, ma solo con riferimento alla quota del 50 per cento acquisita nel 2023. E il valore di carico da considerare sarà quello indicato nell’atto notarile stipulato in esecuzione degli accordi di separazione.
La posizione dell’Agenzia appare in linea con la propria precedente prassi e coerente con l’impianto sistematico delineato nella circolare n. 23/E del 2020, che descrive con chiarezza i presupposti oggettivi e temporali dell’imposizione delle plusvalenze. In particolare, viene confermata l’assimilazione, ai fini fiscali, dei trasferimenti tra coniugi separati a cessioni a titolo oneroso, nonostante l’apparente gratuità.
Ma è lecito domandarsi se la successiva rivendita dell’immobile, avvenuta entro cinque anni dal suo acquisto in esecuzione di una sentenza di separazione, possa davvero essere ricondotta alla ratio speculativa che giustifica la tassazione delle plusvalenze infraquinquennali. In questo tipo di situazioni, infatti, il venditore non ha acquistato il bene con finalità di speculative, ma lo ha ricevuto nell’ambito di un accordo di separazione personale, quale componente di un riequilibrio patrimoniale tra coniugi. Assimilare tale ipotesi a quella di chi acquista un immobile per poi rivenderlo con profitto entro un breve lasso temporale rischia di trascurare la sostanziale diversità delle due fattispecie, finendo per applicare automaticamente una norma pensata per contesti ben differenti.
Proprio questo margine di ambiguità, fisiologico in tutte le ipotesi negoziali legate a situazioni personali complesse, dovrebbe suggerire un’applicazione più sfumata, meno automatica, del meccanismo impositivo.