Donazione di immobili e limiti al potere di rettifica: lettura critica dell’ordinanza n. 18512/2025
di Daniele Muritano
Una recente ordinanza della Corte di cassazione (n. 18512 del 7 luglio 2025) affronta un caso di donazione immobiliare complessa, in cui venivano trasferiti più beni con caratteristiche differenti. In particolare, l’atto di donazione comprendeva sia immobili provvisti di rendita catastale sia beni immobili privi di rendita – nel caso di specie alcune unità collabenti (categoria catastale F/2) e persino fabbricati demoliti (ossia aree di risulta). In sede di registrazione dell’atto, le parti avevano dichiarato un valore imponibile complessivo per l’insieme dei beni, e una parte di tale valore era imputato ai fabbricati collabenti.
L'ufficio rettificava in aumento (quasi triplicandolo) il valore di tutti i beni, inclusi quelli muniti di rendita catastale.
Respinto il ricorso del contribuente in primo grado, la CTR Liguria accoglieva l'appello, ritenendo che il valore attribuito ai fabbricati collabenti includesse anche quello dei fabbricati demoliti (le aree di risulta).
Su ricorso dell'Agenzia la Cassazione censura l'impostazione del giudice di appello, rilevando che la CTR non si è uniformata al principio secondo cui in tema di imposta sulle donazioni il contribuente che presenti una dichiarazione cumulativa avente ad oggetto una pluralità di cespiti e intenda avvalersi della disposizione (articolo 34, comma 5, del Dlgs n. 346/90) che preclude la rettifica del valore dei beni dichiarato in misura uguale a superiore a quello c.d. automatico ha l'onere di indicarne analiticamente il valore in modo da consentire all'amministrazione finanziaria di controllare la corrispondenza di ciascuno ai parametri di valutazione automatica; in difetto di tale indicazione e alla presenza di un unico valore globale l'amministrazione finanziaria ha il potere di rettifica attraverso il ricorso al criterio del valore di mercato.
La Corte aggiunge che la sentenza impugnata ha impropriamente ritenuto che l'eccedenza del valore cumulativamente dichiarato per gli immobili muniti di rendita rispetto al valore nominalmente risultante dall'applicazione della valutazione automatica precludesse la rettifica del valore anche per le aree di risulta dei fabbricati demoliti (ancorché sprovviste di rendita) che non potevano essere ricomprese nel valore specificamente dichiarato per i soli fabbricati collabenti. Per cui in sede di accertamento l'amministrazione finanziaria aveva correttamente stimato tali immobili secondo il valore venale prescindendo dal valore automatico che non era applicabile per la carenza di rendita.
Questa ricostruzione dell'operato dell'Agenzia è, in verità, fallace, perché dalla parte della pronuncia dedicata allo svolgimento del processo risulta che l'Agenzia aveva rettificato non il valore delle aree di risulta bensì il valore di tutti i cespiti, inclusi quelli muniti di rendita catastale.
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