Direttiva sulla trasparenza salariale: la strada verso la fine del gender pay gap?
di Sara Bellanza
Nel 2025 parlare di parità di genere potrebbe sembrare superfluo, un esercizio quasi retorico. Eppure, sotto questa apparente normalità, continuano a nascondersi disuguaglianze profonde.
Negli ultimi decenni, le donne hanno conquistato ruoli e responsabilità che, 60 o 70 anni fa, sarebbero stati impensabili.
Non è però tutto oro quel che luccica. Anzi. Il divario salariale - il gender pay gap - resta una prova tangibile che la parità è ancora lontana.
La nuova Direttiva europea sulla trasparenza salariale potrà rendere visibili squilibri finora invisibili, ma i numeri raccontano solo metà della storia.
L’altra metà risiede nelle nostre percezioni: in come definiamo merito ed equità, e in quanto l’esperienza femminile sia ancora vista come accessoria, invece che parte integrante della nostra idea di lavoro e di società.
Il volto del divario di genere in Italia
Ogni volta che si parla di disuguaglianze salariali, spuntano le obiezioni: “Sì, ma le donne scelgono il part-time” o, peggio, “Devono lavorare meno e occuparsi di casa e figli”.
Sono risposte che trasformano un fenomeno sociale in un fatto meramente naturale, ignorando che la maggiore presenza femminile nel lavoro a orario ridotto è spesso il frutto del peso sproporzionato della cura familiare e domestica. Non è una scelta individuale: è un prodotto di un assetto culturale che distribuisce le responsabilità in modo diseguale.
Questa disparità si riverbera su tutto il sistema. Nel 2023, secondo il Rendiconto di genere dell’Inps, il tasso di occupazione femminile in Italia si è fermato al 52,5 per cento, contro il 70,4 per cento degli uomini: quasi 18 punti di distanza. Anche nelle nuove assunzioni, la presenza femminile rimane fortemente limitata.
Il divario emerge con ancora maggiore forza nelle retribuzioni: a parità di ruolo e competenze, le donne guadagnano significativamente meno.
Non è questione di talento o ambizione: è un problema culturale, strutturale, che riguarda tutti noi.
Il lavoro delle donne tra carriere e responsabilità non (sempre) condivise
Le donne italiane partecipano meno al mercato del lavoro, e ciò che sembra una piccola differenza nella paga oraria si trasforma, nel tempo, in un divario strutturale che attraversa interi settori.
Le carriere femminili sono spesso interrotte o rallentate, penalizzate dalla maternità e da un’organizzazione sociale che affida quasi esclusivamente alle donne il lavoro domestico e familiare. Il part-time non è una scelta libera: è una necessità per conciliare responsabilità che la società considera naturalmente femminili.
Questo divario non è solo economico. Misura il valore non del merito, ma di chi ha il “privilegio” di non dovere scegliere tra lavoro e cura degli altri.
Il salario diventa così uno specchio della cultura che lo produce.
Trasparenza salariale: la sfida europea contro il gender pay gap
Il cosiddetto gender pay gap non è solo un problema italiano. Secondo l’ultima rilevazione Eurostat del 2023, le donne in Europa guadagnano in media il 12 per cento in meno degli uomini: un divario che racconta disuguaglianze sociali e culturali ancora profondamente radicate, tangibili nelle carriere, nelle promozioni e nella sicurezza economica delle donne.
Per affrontarlo, l’Unione Europea ha introdotto la Direttiva 2023/970 sulla trasparenza salariale, che gli Stati membri dovranno recepire entro giugno 2026.
La norma segna un cambiamento importante: ogni lavoratore avrà il diritto di conoscere le retribuzioni medie delle mansioni equivalenti, e i datori di lavoro dovranno rispondere alle richieste sui livelli salariali. Inoltre, le aziende dovranno fornire periodicamente, con cadenza che dipende dalle loro dimensioni, informazioni sul divario retributivo tra uomini e donne, in modo da rendere più trasparente la distribuzione delle retribuzioni all’interno dell’organizzazione.
La trasparenza diventa così uno strumento concreto per individuare disparità e intervenire tempestivamente. Non si tratta solo di rendere accessibili i dati: significa mettere in discussione criteri troppo spesso penalizzanti per le donne, anche a parità di ruolo e competenze, e ripensare il modo in cui si valuta il lavoro, si promuovono le carriere e si riconosce il merito.
La direttiva europea basterà a garantire la parità?
Nessuna direttiva può bastare senza un cambiamento culturale. La trasparenza salariale produrrà effetti reali solo se organizzazioni e istituzioni avranno la volontà di rivedere abitudini, pratiche consolidate e pregiudizi radicati, spesso inconsapevoli.
La parità sarà possibile quando la società riconoscerà, senza ambiguità, che il valore del lavoro non dipende dal genere di chi lo svolge.
Solo attraverso trasparenza nei salari, criteri chiari per le progressioni e sanzioni contro ogni forma di discriminazione, diretta o indiretta, sarà possibile tracciare una nuova strada. Una strada che non si limita a correggere ingiustizie economiche, ma interroga la società sul valore del lavoro, sul merito e sull’equità.
Ridurre il divario retributivo significa, in fondo, costruire una cultura che riconosca la dignità di chi lavora, senza distinzione di genere, e promuova condizioni di piena partecipazione per tutte e tutti.


