Dimissioni per fatti concludenti: quando la legge parla… ma qualcuno la distorce
di Claudio Garau
Il legislatore si è posto un obiettivo nobile: arginare gli abusi connessi alla Naspi, rendendo più lineare e rapida la chiusura definitiva dei rapporti di lavoro.
Occorre rilevare che l’articolo 19 della legge n. 203/2024 (Collegato lavoro) e l’articolo 26 comma 7-bis del d.lgs. n. 151/2015 hanno introdotto nell’ordinamento le dimissioni per fatti concludenti, trasformando il fatto concreto dell’assenza ingiustificata in segnale di una volontà dimissionaria tacita. Alternativa alla complessa procedura di licenziamento di cui all’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori, la nuova disciplina include - in poche righe - una presunzione legale, tale da sollevare interrogativi tutt’altro che teorici e destinati a emergere con frequenza, nelle dinamiche giuslavorative di tutti i giorni.
La norma sulle dimissioni per fatti concludenti è scritta con un linguaggio relativamente chiaro, soprattutto se confrontata ad altre disposizioni in materia lavoristica: richiama concetti accessibili, delimita l’ambito e indica una conseguenza giuridica precisa. Ciò non elimina, però, la complessità applicativa, che non dipende tanto dalla formulazione della norma quanto dalla sua natura. Attribuire valore dimissionario a un comportamento fattuale, richiede di valutare la volontà del lavoratore, compiendo un’operazione assai delicata e incastonata in un sistema di regole formali (tra cui ad es. quelle relative alle dimissioni online).
In fondo, un gesto quotidiano può valere più di mille parole. Il silenzio diventa dichiarazione. E il comportamento è configurato atto giuridico rilevante, per terminare un rapporto di lavoro. Tutto così semplice? Non esattamente, perché teoria e pratica, come spesso accade, viaggiano su binari diversi. Ne abbiamo già parlato, ma giova ricordarlo: i sindacati - primo fra tutti la Cisl Milano - hanno denunciato un fenomeno attuale e preoccupante, quello dei lavoratori “dimissionati” senza saperlo e senza comunicazioni preventive. Senza Naspi. Settori a forte precarietà, come edilizia o logistica, sono diventati terreno di “sperimentazione” di un meccanismo introdotto per contrastare furbi e truffatori, che - se applicato slealmente - può diventare (anche) uno strumento di implicita - e quasi selvaggia - espulsione.
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