Tra gli articoli più interessanti della legge 203/2024 – il Collegato Lavoro – ce n'è uno che è meritevole di una specifica riflessione: l’articolo 19 introduce, infatti, il nuovo comma 7-bis all'articolo 26 del Dlgs 151/2015, uno dei provvedimenti di attuazione del Jobs Act.
L'aggiornamento riguarda la risoluzione dei rapporti di lavoro con le nuove dimissioni per fatti concludenti – o di fatto - e dispone che, qualora si palesi un'assenza ingiustificata del dipendente protratta oltre il termine previsto dal Ccnl applicato o - in assenza di previsione contrattuale - maggiore di 15 giorni, il datore di lavoro ne darà comunicazione alla sede territoriale dell’Inl. L'Ispettorato potrà controllare la veridicità della comunicazione stessa e il rapporto – salva giustificazione dello stesso dipendente - sarà considerato risolto per volontà di quest'ultimo.
Come recita l'articolo 3 del Dlgs. 22/2015, a differenza del licenziamento, le dimissioni non comportano l'accesso alla Naspi (a meno di giusta causa ad esempio per mancato pagamento dello stipendio) e - conseguentemente - anche nel caso delle dimissioni di fatto, il lavoratore non potrà avere l'indennità di disoccupazione versata da Inps.
Dietro la novità c'è una precisa volontà del legislatore, quella di colmare un vuoto normativo e di reprimere i casi di abuso o elusione riferiti ai discutibili comportamenti di coloro che, per intascare la Naspi – e magari svolgere poi un lavoro in nero per avere un'altra fonte di reddito oltre a questa indennità - restavano assenti dall'ufficio per un prolungato periodo. Situazioni superabili con un licenziamento “indiretto”, ma che celavano – in concreto - le dimissioni volontarie.
Come detto, in base all'articolo 19, chi è assente ingiustificato sarà ritenuto autore di una risoluzione del rapporto per fatti concludenti. Sarà un dimissionario pur senza aver formalizzato il gesto. E questo gioverà non soltanto all'Inps, che eviterà di versare l'indennità di disoccupazione, ma anche al datore che non sarà tenuto al contributo del cd. ticket di licenziamento, previsto dall'articolo 2, commi 31-35 legge 92/2012 (riforma Fornero).
Se, a prima vista, la legge 203/2024 contiene una norma di equità giuridica e tale da contribuire al riequilibrio del sistema delle prestazioni sociali, a una più attenta considerazione potremmo ricordare che.. non è tutto oro ciò che luccica. Anche in questo caso.
Infatti, è tutto da valutare come le aziende applicheranno – in concreto – la norma e se lo faranno in piena aderenza alla volontà del legislatore, ossia valutando con zelo la durata e la natura dell'assenza del dipendente prima di considerare la risoluzione del rapporto come per "fatti concludenti". L'articolo 19, infatti, potrebbe sollevare dubbi interpretativi riguardo alla gestione concreta delle assenze e alla documentazione che le giustifica, posto che tale norma – usando le parole del legislatore : “[...] non si applica se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”.
Una questione rilevante sarà capire l'interpretazione giurisprudenziale in caso di controversie. Sarà quindi determinante verificare quali elementi di prova verranno richiesti al lavoratore, per giustificare la sua assenza, e quali criteri saranno considerati validi dal giudice, per ritenere dimostrata l'impossibilità di comunicare i motivi dell'assenza. Il lavoratore potrebbe impugnare il licenziamento, sostenendo l’esistenza di giustificazioni per l’assenza prolungata. Mentre l’Ispettorato, chiamato a validare l’interruzione del contratto, potrebbe trovarsi sommerso da ricorsi e accertamenti, con un chiaro aggravio burocratico.
Non solo. Il dipendente intenzionato a farsi licenziare per intascare la Naspi, potrà semplicemente adottare altri escamotage. Con una buona dose di faccia tosta, si intende. Ad esempio, potrebbe reiterare condotte disciplinarmente rilevanti ma non riconducibili all’assenza ingiustificata, obbligando comunque l’azienda a procedere con il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Gli esempi si sprecano: ritardi continui, insubordinazione, negligenza reiterata e così via. Tutte situazioni che, nel giro di breve tempo, potrebbero aprire le porte al licenziamento disciplinare - e alla Naspi.
Concludendo, la nuova norma sembra più un palliativo che una soluzione strutturale, una regola che pare colpire più i sintomi che le cause del problema. Invece di limitarsi a vietare una condotta specifica, il legislatore avrebbe forse dovuto concentrarsi su riforme più ampie del sistema di sostegno al reddito e delle politiche attive del lavoro, incentivando un vero reinserimento occupazionale anziché limitarsi a impedire scorciatoie. Finché la Naspi sarà percepita come un “paracadute facile”, il rischio è che si trovino sempre nuove strade per aggirare le restrizioni, rendendo inefficace i tentativi di frenare l’abuso.