Dichiarazione integrativa: decadenza dal CPB con “maggiori” o “minori” redditi?
di Andrea Gaeta e Maurizio Nadalutti
L’articolo 22 del Dlgs 13/2024 prevede, quale causa di decadenza dal concordato preventivo biennale (CPB), l’emersione (a seguito di accertamento), nei periodi di imposta oggetto del concordato o in quello precedente, di attività non dichiarate o dell'inesistenza o indeducibilità di passività dichiarate, per un importo superiore al 30% dei ricavi dichiarati (comma 1, lettera a) dello stesso articolo 22). Costituisce altresì causa di decadenza la modifica o l’integrazione della dichiarazione tributaria che determina una quantificazione diversa dei redditi o del valore della produzione netta rispetto a quelli in base ai quali è avvenuta l'accettazione della proposta di concordato (comma 1, lettera b), del medesimo articolo 22).
In relazione a quest’ultima fattispecie, il legislatore non ha fissato alcuna “soglia di tolleranza”. Sul punto, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 18/E del 2024 (§ 2.6), nella quale si legge che «affinché le integrazioni o le modifiche delle dichiarazioni dei redditi, ovvero l’indicazione di dati non corrispondenti a quelli comunicati ai fini della definizione della proposta di CPB, siano rilevanti per determinare la decadenza dallo stesso CPB, è necessario che gli stessi determinino un minor reddito o valore netto della produzione oggetto del concordato per un importo superiore al 30 per cento». Nella citata circolare viene quindi assimilata questa situazione a quella relativa agli errori di “non lieve entità” riguardanti la comunicazione dei dati Isa (articolo 22, comma 2, lettera b).
Tale soluzione è stata ribadita anche in occasione del Videoforum di ItaliaOggi e di Telefisco 2025.
L’intervento dell’Amministrazione finanziaria, seppur certamente condivisibile in termini di principio, appare tuttavia poco felice dal punto di vista della formulazione letterale.
Infatti, avendo le Entrate fatto riferimento ad un “minor” reddito o valore netto della produzione oggetto del concordato, sorge il dubbio se la soglia del 30% debba essere calcolata sul reddito (o valore netto della produzione) oggetto della proposta di concordato già accettata o, invece, sul reddito (o valore netto della produzione) che sarebbe dovuto risultare sulla base dei dati corretti, cioè quelli che derivano dalla dichiarazione integrativa.
In proposito, va considerato che l’utilizzo della locuzione “minor reddito” discende, come si è sopra riportato, dalla formulazione della lettera b) del secondo comma dello stesso articolo 22, che definisce l’errore di non lieve entità nella trasmissione dei dati ISA come quello che determina «un minor reddito o valore netto della produzione oggetto del concordato per un importo superiore al 30 per cento».
Tuttavia, il riferimento al “minor reddito” non può risultare corretto con riguardo al caso della presentazione di una dichiarazione integrativa. La decadenza dal CPB si deve realizzare, infatti, in presenza di integrazioni che comportano l’emersione di un reddito (o valore della produzione netta) “maggiore” (non minore) del 30 per cento rispetto a quello oggetto di concordato.
Ad esempio, qualora un contribuente abbia accettato un reddito concordato pari a 100 e, per effetto della presentazione di una dichiarazione integrativa, emerge un “maggiore” reddito pari a 32, ossia superiore a 30, si verificherà una causa di decadenza dal concordato. Lo stesso contribuente potrà invece continuare a beneficiare del CPB solo se le integrazioni effettuate determinano un “maggiore” reddito non superiore a 30.
È dunque chiaro che il passaggio della circolare 18/E/2024 (richiamato anche a Telefisco 2025) non può che risultare un “refuso”: si ribadisce che la presentazione di una dichiarazione integrativa provoca l’“uscita” dal concordato solo quando si verifica uno “splafonamento” superiore del 30 per cento rispetto al reddito oggetto della proposta di concordato.