DELITTI TRIBUTARI - Le investigazioni del Dott. Massimo Rinaldi: "Crediti di sangue"
di Nereo Seppia
Massimo Rinaldi arrivò in via Lombroso poco dopo le undici di sera. L’aria era fredda, il cielo di novembre un unico blocco di cemento grigio. Il palazzo si stagliava severo sopra la strada deserta, se non fosse stato per le due volanti della polizia con i lampeggianti accesi. Un agente lo fece passare con un cenno del capo: «dottor Rinaldi, buona sera, la scena del delitto è al terzo piano». Ricambiò il saluto e salì, le indicazioni su come raggiungere l’appartamento le aveva già ricevute nel corso della telefonata preoccupata ricevuta mezz’ora prima dall’amico ispettore, Antonio Sassi.
Decise di non prendere l’ascensore, gli sembrava che le scale potessero nascondere qualche elemento utile alla comprensione dell’omicidio. Non fu così. Era un bel palazzo d’epoca fascista, un po’ trascurato all’interno. I muri mostravano più di qualche ruga d’espressione a causa dell’umidità di risalita e dei segni dovuti ai tanti presumibili traslochi susseguitisi nel tempo.
Arrivato al terzo piano trovò la porta dell’appartamento aperta, all’interno voci, tra le quali distinse quella di Sassi che impartiva istruzioni precise per non inquinare gli indizi. Fece fatica a distinguerla però, nonostante il tono insolitamente elevato, perché una musica faceva da tappeto musicale. Entrò nell’appartamento, illuminato solo da una flebile luce calda artificiale, seguendo le note barocche dell’Adagio di Albinoni che attraversavano il corridoio spostandosi dalla stanza in fondo allo stesso. Sembrava tutto così surreale e ipnotico. A un tratto fu quasi risvegliato dalla voce dell’ispettore: «Massimo! Hai intenzione di rimanere lì a lungo o vieni qui a darmi una mano?». La musica lo aveva inebetito o forse la sua mente aveva semplicemente cominciato a cercare particolari remoti, in ogni caso rispose: «Scusa, Antonio, arrivo subito».
La stanza aveva le tende tirate. Pochissima luce, fatta eccezione per quella proveniente da una lampada ministeriale in opalino verde accesa sulla scrivania. Un vecchio grammofono “La Voce del Padrone” era il protagonista dell’esecuzione in Sol minore del più grande falso di successo della storia della musica. Si avvicinò al mobile in mogano sul quale era posizionato quel cimelio collezionistico e si fermò a riflettere, come se in quel preciso momento il cadavere del povero dottor Luigi Saccà e il resto della stanza non avessero alcuna importanza.
«Massimo!!», risuonò ancora più inquieta la voce di Sassi. Si inquietò anche lui: «Antonio, perdona, questo disco era della vittima?». A quel punto l’ispettore sbuffò: «Ma cosa ne so e cosa ci interessa del disco, credo sia l’Adagio di Albinoni, ma vieni qui, aiutami a comprendere questo indizio piuttosto». Sbuffò anche Massimo: «Antonio, non vorrei sbagliare, ma credo che anche questa composizione possa essere un indizio. Può essere che la musica sia stata messa ad alto volume dall’assassino per nascondere il rumore dello sparo o perché voleva lasciare una traccia di sé, o magari entrambe le cose. Ecco perché è importante capire se il disco sia della vittima o meno. Credo ci aiuterebbe a capire anche se i restanti elementi della scena del crimine siano stati lasciati da Saccà, cosa improbabile, o dall’omicida. Sai meglio di me che spesso, o per sfida o per l’inconsapevole esigenza di volere essere fermati, tutte le tracce hanno un particolare significato sia singolarmente prese che valutate nel loro insieme».
A quel punto Sassi sembrò quasi mortificato, era dai tempi del liceo che in qualche modo invidiava il compagno di banco per quella sua capacità di sapere guardare al tutto senza tralasciare i particolari, che specie nei problemi di fisica gli avevano sempre consentito di essere il più bravo della classe. Si sentì in difetto di fronte agli agenti di polizia ancora presenti, che però continuavano imperterriti a refertare la scena del delitto, riuscendo solo a dire: «Massimo, scusami, faccio subito verificare la questione del disco, però mi dici cosa potrebbe volere dire se fosse stato lasciato dall’assassino?».
«Antonio, te lo dico subito, prima però mostrami l’indizio di cui parlavi», rispose avvicinandosi alla poltrona sulla quale giaceva seduto con la testa riversa in basso il corpo senza vita di Saccà, funzionario dell’Agenzia delle Entrate, noto per la disponibilità al dialogo pur nel rigore delle valutazioni effettuate. Il piccolo foro d’entrata del proiettile sulla fronte, da un lato, lasciava presumere si trattasse di una pistola di piccolo calibro e, dall’altro, escludeva il suicidio. Sulle gambe un foglio strappato da una rivista d’arte contemporanea sul quale era raffigurato un dipinto con due figure maschili che camminano tenendosi per mano di fronte a una curva che piega bruscamente a destra senza consentire la visuale dell’oltre. Le teste e gli sguardi appaiono rivolti verso chi guarda l’opera, quasi bucando la tela con un senso di inquietudine e, al contempo, di flebile speranza per quel futuro che in quel momento sembrerebbe non intravedersi lungo il percorso. In corrispondenza della piega della curva del dipinto, annotato a penna: “Articolo 10-quater, comma 2, Dlgs 74/2000”.
Sassi riprese a parlare: «Massimo, da profano ho controllato su internet e ho visto che si tratta di una norma che disciplina il reato di indebito utilizzo in compensazione di crediti… giusto? Quale aiuto potrebbe dare all’indagine? Dammi un tuo parere da dottore commercialista e da amico. La questione credo sia tanto complicata quanto delicata, inutile dire che ho già il fiato sul collo del Magistrato assegnato all’indagine e ovviamente del Questore».
Rinaldi raccolse le idee, voleva provare a mettere insieme tutti gli indizi lasciati dall’assassino, che era evidente miravano a tratteggiare il movente, tanto lucido quanto folle. Non c’è però mai una motivazione valida che giustifichi la violenza. Mai! La violenza è sempre inammissibile, è sempre una sconfitta, anche quando si presume di avere ragione o che il diritto sia profondamente ingiusto e inadeguato a rappresentare la nostra verità, comunque sempre soggetta all’effetto Rashomon. Una profonda tristezza lo pervase. Ripensò a Saccà, ai tanti incontri e scontri che avevano animato la civile arena della loro frequentazione formale.
Con un filo di voce prese a ricomporre gli elementi raccolti: «Antonio, la questione come dici tu è complessa. Molto complessa. L’articolo 10-quater, comma 2, del decreto legislativo 74 del 2000 intercetta la compensazione illegittima attraverso l’utilizzo di crediti inesistenti. Una fattispecie diversa da quella del comma 1 che invece punisce l’indebito utilizzo di crediti non spettanti. Non ti voglio confondere rappresentandoti gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza di Cassazione che erano arrivati alla fine del 2023 a codificarne i rispettivi tratti caratteristici con una più che accettabile e comprensibile distinzione. Poi è intervenuta la riforma tributaria che ha rimescolato le carte, tornando a generare confusione e indeterminazione». Sassi lo stava seguendo con attenzione e lo interruppe per verificare di aver capito: «Massimo, la distinzione ha un senso anche rispetto allo specifico indizio lasciato, perché penso che…», non fece in tempo a completare la frase che Rinaldi riprese a dire: «Antonio, sì, ha senso, ha molto senso. Considera che, al di là della differente gravità della pena comminata, a voler tacere anche della ben diversa misura della sanzione amministrativa tra le due casistiche, l’utilizzo di crediti non spettanti prevede una causa di non punibilità nel successivo articolo 13 che invece la compensazione con crediti ritenuti inesistenti non ha».
Entrambi, Sassi e Rinaldi, si fermarono un attimo nelle considerazioni. Era ovvio che occorreva indagare nei fascicoli del dottor Saccà, operazione non facile e di certo non immediata, ma le precisazioni successive di Rinaldi lasciarono sbigottito l’ispettore Sassi, al punto da chiedersi se meritasse davvero quel distintivo di qualifica.
«Vedi, Antonio, l’articolo annotato sul foglio è solo la cornice. Credo che possiamo restringere l’ambito di ricerca considerando anche gli altri due indizi». Sassi voleva provare a partecipare alle ulteriori deduzioni che, conoscendo l’amico, si preannunciavano brillanti, riuscendo però solo a dire: «Il quadro, bene, e l’altro indizio qual è? Il disco?».
«Sì. Vedi, il quadro non è un quadro qualunque», avvicinandosi al foglio per meglio spiegarsi, «È uno dei capolavori di Ottone Rosai, straordinario e sensibile pittore fiorentino. Le due figure maschili raffigurate sono quella di un padre e di un figlio. Il padre ha un moto di protezione per il futuro incerto del figlio, stringendogli la mano prima di affrontare l’oltre che non si vede per via della curva a gomito. Testimonia il fortissimo legame tra Rosai e il suo babbo, morto suicida. Osserva lo sguardo del padre, sembra parlare. Ma quello che non dice il quadro lo dice la composizione di Albinoni… vabbè più di Remo Giazotto che di Albinoni, ma questa è un’altra storia. Il brano è stato più volte utilizzato dal cinema per il suo andamento lento e quel profondo ricamo barocco di archi, perché esprime un impatto emotivo adatto alle scene più commoventi. È stato impiegato per le cerimonie funebri di Enrico Berlinguer e di Margaret Thatcher. Ma quello che forse ci può aiutare, ecco perché è importante capire se il disco si trovasse già in questa casa o meno, è il bellissimo film del 1981 di Peter Weir, con un giovanissimo Mel Gibson, nel quale fu utilizzato l’Adagio. “Gli anni spezzati” è il titolo evocativo del film».
Sassi trovò una sedia sulla quale appoggiarsi, era visibilmente scosso: «Caspita, Massimo, non so che dire. Ti faccio nominare subito come consulente per l’analisi dei fascicoli di Saccà, ma non c’è tempo da perdere perché temo che siamo di fronte a una scia di sangue appena iniziata».
Rinaldi annuì: «Sì, Antonio, temo che questo sia solo il primo atto di una tragedia scritta da qualcuno che ha già deciso come finirà. E noi dobbiamo scoprire il finale assolutamente prima che venga rappresentata sino in fondo», ripensò ai tempi del liceo e alle lezioni di filosofia, «Ti ricordi Søren Kierkegaard – “La vita può essere capita solo all'indietro, ma va vissuta in avanti” - ora, purtroppo, a noi spetta il compito di guardare indietro per fermare questo delirio omicida».
Seguirà il secondo episodio
«Fatti e personaggi narrati sono frutto di fantasia. Ogni riferimento a situazioni e persone reali è puramente casuale»