DELITTI TRIBUTARI - Le investigazioni del Dott. Massimo Rinaldi: evasione mortale
di Nereo Seppia
La stanza d’ospedale odorava di disinfettante e di resa. Il macchinario multiparametrico contava il tempo come rate scadute, bip dopo bip. Antonio Sassi non parlava, ma il suo torace, ostinato, continuava a salire e a scendere. Arianna, il bassotto, si era sistemata a ferro di cavallo contro il braccio di Antonio. Occhi lucidi, orecchie basse e quell’alone di fedeltà canina che non chiede mai nulla in cambio. Rinaldi si accomodò accanto al letto dell’amico, su una di quelle sedie in fòrmica di colore celestino che sembrano essere fatte apposta per condividere la sofferenza dei pazienti.
«Tranquilla, signorina», mormorò, «il tuo padrone è un duro. Se la vedrà anche con questa. Ha superato più accertamenti lui che una multinazionale». Mentiva male. Il foro nel torace non dialogava bene con l’ottimismo. L’ultima volta che avevano scherzato erano al porto, tra container e umidità, un’ora prima dello sparo. Arianna aveva ringhiato nel buio come se avesse letto una circolare dell’Agenzia delle entrate. E non le era piaciuta.
Rientrò a casa. Fuori pioveva con ostinata convinzione. Rinaldi appoggiò sullo scrittoio piacentino Luigi XVI una busta trasparente con dentro un quaderno a quadretti, bordi rossi, copertina economica. Non gli apparteneva. Titolo scritto con biro blu: “Rotazione”. Sotto, a matita, una freccia che andava dall’Est all’Ovest passando per la scritta “Noi”. All’interno colonne ordinate come soldatini: date, targhe di camion, CMR, pesi, IMEI di telefoni cellulari, numeri di fattura, importi, IBAN, causali. Una vita passata a odiare gli enormi fogli excel rischia di rendere quasi sentimentali di fronte a un quaderno scritto a mano.
Non aveva intenzione di piangersi addosso. L’ispettore Sassi non lo avrebbe sopportato. Così, mentre il ventilatore cantava la sua ninna nanna senza swing, il commercialista riprese a mettere insieme i pezzi come fossero mastrini: a ritroso, voce per voce, fino a quando qualcosa non comincia davvero a quadrare.
Tutto era cominciato cinque settimane prima. Tre omicidi nel giro di pochi giorni, compiuti nelle aree portuali di Ancona, Bari e Genova. Le vittime un giovane portuale e due militari della Guardia di finanza. La Polizia comincia a indagare insieme alle Fiamme Gialle. L’indagine atterra sulla scrivania di Sassi, competente rispetto alla società ritenuta al centro della catena frodatoria e da cui sarebbero presumibilmente partiti gli ordini di uccidere. Una società dal nome allegro e vacanziero, “Mediterranea Drinks S.r.l.”. Il CFO, un baldanzoso ragazzo che chiamava “capex” i mobili dell’ufficio, sembrava avere un unico problema, ovvero quello che le società fornitrici “non passavano più la roba”. Con “roba” intendeva telefoni cellulari ultimo modello e pezzi di ricambio per elettronica. “Drinks”, certo. Come no! Li bevi coi cavetti USB, pensò il sempre scettico Rinaldi quando Sassi lo convocò per la consueta consulenza, questa volta però alla presenza del Questore che lo ammonì: «Rinaldi, mi raccomando, non si cacci nei guai». A ripensarci, quell’invito lo avrebbe dovuto rivolgere all’amico ispettore più che a lui.
Quando qualcuno gli sottoponeva un puzzle così, cominciava solitamente a sfogliare mentalmente l’articolata disciplina IVA, che ogni commercialista conosce fin troppo bene, e i reati penali tributari. Il ragazzo, il CFO, parlava di “drop shipment europeo”. Rinaldi, invece, sentiva odore di frode già dal modo in cui pronunciava reverse charge. Il povero reverse charge, in bocca a certi consulenti è come il latino in bocca ai barzellettieri, ovvero fa scena, ma non regge mai alla prima domanda.
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