Deducibilità dei costi da risarcimento del danno: la Cassazione fa luce su esecutività della sentenza, certezza e determinabilità
di Andrea Gaeta e Lorenzo Romano
Una recente pronuncia della Corte Suprema di Cassazione, Sezione Tributaria (Sentenza n. 24485/2025, del 4.9.2025), offre importanti chiarimenti in materia di reddito d’impresa, con particolare riferimento ai principi di competenza temporale per costi e ricavi derivanti da contenziosi.
Il caso origina da un avviso di accertamento Ires per l’anno 2014 con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava, nei confronti di una partecipata di un ente locale incaricato della gestione del servizio idrico, due aspetti principali:
l’utilizzo di fondi (contenzioso e pensioni): l’Agenzia aveva recuperato le somme utilizzate dal fondo pensioni, sostenendo che erano già state dedotte e non tassate. La società (una partecipata di un ente locale), invece, sosteneva che tale fondo fosse stato già “tassato”, avendo già pagato le imposte su di esso, e che quindi l’utilizzo successivo fosse deducibile dalla base imponibile.
la competenza temporale dei costi da risarcimento: l’Agenzia riprendeva a tassazione i costi relativi a spese processuali e la quota di danni liquidati da una sentenza di primo grado del 2009, ritenendo tali costi di competenza di quell’anno e non deducibili nel 2014. Contestava altresì la mancata contabilizzazione, da parte della società, del risarcimento del danno al quale era stata condannata da una sentenza di secondo grado depositata nel 2014.
I giudici di primo e secondo grado avevano parzialmente accolto il ricorso della società, annullando la ripresa relativa al fondo pensioni, ma confermando quella sui costi da risarcimento del 2009. Contro la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione sia l’Agenzia, in via principale, che la società.
Dopo aver respinto la tesi dell’Agenzia secondo cui l’operazione (di per sé notoriamente neutrale) di scissione parziale di una partecipata doveva essere assimilata ad un conferimento, in forza dell’articolo 115, comma 6, del Testo Unico degli Enti Locali, la Cassazione si è occupata del ricorso incidentale della società, relativo alla competenza temporale dei costi e dei ricavi derivanti dal contenzioso.
Il motivo di ricorso è stato accolto, con argomentazioni di particolare interesse.
La contribuente aveva ritenuto che i costi sostenuti in base a una sentenza di primo grado del 2009 (poi riformata e con esecutività sospesa) fossero deducibili solo nel 2014, anno in cui il costo era divenuto “certo”, e che per lo stesso anno 2014 non fossero contabilizzabili (tra le poste attive) le somme liquidate a titolo di indennizzo assicurativo per danni indiretti, perché ancora contestate dalla controparte.
Nel cassare senza rinvio la sentenza di appello, la Corte ha ribadito il consolidato principio secondo cui, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza sia per i ricavi, come per i costi (e quindi per tutti i componenti del reddito), ai sensi dell’articolo 109 del TUIR, devono verificarsi (allo stesso momento) le condizioni di “certezza” e “determinabilità” dell’ammontare. In particolare, per i debiti litigiosi (rientranti tra le “passività potenziali”), il costo non può essere dedotto dall’anno di inizio della lite, ma da quello della sua conclusione. L’articolo 109 TUIR stabilisce che i componenti di cui non è ancora certa l’esistenza o determinabile l’ammontare concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui tali condizioni si verificano. La Cassazione mette in rilievo, infatti, che “è vero che i costi e i ricavi (e in genere i componenti negativi e positivi che concorrono a formare il reddito d’impresa) devono essere imputati all’esercizio in cui sono sorti i rispettivi elementi costitutivi; ma è anche vero che se quegli elementi sono incerti nell’an o nel quantum, essi debbono essere imputati all’esercizio nel quale si manifestano nella loro oggettiva certezza, sia quanto all’an che con riferimento al quantum”.
La sentenza – e qui si coglie la sua portata innovativa – sottolinea inoltre la fondamentale distinzione tra la “provvisoria esecutività” di una sentenza di primo grado e il requisito di “certezza” del costo ai fini fiscali, che si ha solo quando l’elemento passivo acquisisce una fisionomia definitiva sia negli elementi costitutivi che nella dimensione quantitativa. Nel caso di specie, l’esecutività della sentenza del 2009 era stata sospesa, e i costi erano divenuti “ragionevolmente certi” solo con la sentenza di secondo grado del 2014. Analogamente, per gli elementi attivi, la Cassazione ha ritenuto corretta l’esclusione dalla contabilizzazione nell’anno 2014 delle somme determinate a titolo di indennizzo (assicurativo) per danni indiretti, in quanto la loro spettanza era ancora “affatto contestata, in maniera non manifestamente infondata” dalla società debitrice (la compagnia assicuratrice).
La Corte ha enunciato un principio di diritto di grande rilevanza: “quando gli elementi attivi e passivi che concorrono a formare il reddito sono portati da un provvedimento emesso in seguito ad un giudizio di cui sia parte il contribuente, quest’ultimo non è tenuto a contabilizzarli se essi sono messi in discussione mediante la proposizione di mezzi di impugnazione ammissibili e non manifestamente infondati, dovendo la contabilizzazione essere effettuata solo quando quegli elementi siano divenuti ragionevolmente certi sia nell’an che nel quantum”.
La sentenza in commento si discosta, seppur non espressamente, da un recente precedente (Cass. n. 11197/2025), nel quale la Corte si è occupata del tema della competenza in presenza di sopravvenienze attive derivanti da giudizio. Il caso riguardava una società che aveva ottenuto la restituzione di somme da un istituto di credito, in seguito a una sentenza d’appello del 2009 confermativa di quella del primo grado. Accogliendo la tesi dell’Agenzia, secondo cui i proventi dovevano essere imputati nel 2009 e non nel 2010 (anno del passaggio in giudicato), la Suprema Corte aveva affermato che la competenza va individuata con riferimento all’esercizio in cui è depositata la sentenza d’appello, perché è in quel momento che la sopravvenienza diventa certa e oggettivamente determinabile, salvo che vi sia la sospensione dell’efficacia esecutiva.
Stando a Cass. n. 24485/2025, invece, la tassazione (o deduzione) gli elementi attivi (o passivi) può essere rinviata in presenza di un’impugnazione, purché non “temeraria”.
Si tratta di un indirizzo senz’altro più condivisibile e coerente con l’articolo 109 del TUIR, che enfatizza la necessità di una effettiva certezza e determinabilità degli elementi reddituali prima della loro contabilizzazione fiscale, specialmente in presenza di contenziosi. Si tratta di indicazioni fondamentali per imprese e professionisti chiamati a gestire la contabilizzazione e la deducibilità di costi e ricavi in contesti complessi e litigiosi, tutelando i contribuenti da una tassazione anticipata di poste ancora incerte.