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Fisco

Dalla proporzione alla redistribuzione: un fisco che misura l’uomo

di Gianluca Iannetti

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ott 30, 2025
∙ A pagamento
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“L’imposta dovrebbe adattarsi al contribuente come un abito su misura. Oggi, spesso, è un’uniforme taglia unica.”

L’equilibrio perduto

Oggi il contribuente medio non sente più proporzione, ma distanza.

Tra sé e lo Stato, tra ciò che paga e ciò che riceve, tra l’imposta promessa e quella vissuta. La proporzionalità, che un tempo evocava equilibrio e misura, sembra oggi un concetto sbiadito, logorato da algoritmi, velocità e incertezze. E, a volte, fa arrabbiare.

Immaginiamo un lavoratore autonomo con reddito medio, un dipendente con due figli, un piccolo imprenditore che paga tutto, tracciato fino all’ultimo centesimo. Ognuno di loro avverte lo stesso paradosso: più è trasparente, più è vulnerabile. Il sistema fiscale appare come una grande macchina che distribuisce pesi uguali a spalle disuguali, premiando talvolta l’opacità più dell’onestà.

Un tempo la proporzionalità era un’idea di misura, una grammatica morale del prelievo. Oggi è un’aspirazione sospesa, schiacciata tra slogan semplificatori – “meno tasse per tutti”, “flat tax” – e la realtà di un prelievo che resta spesso cieco davanti alle differenze sostanziali. Il fisco moderno ha imparato a contare con precisione millimetrica, ma ha dimenticato a cosa serve contare.

Proporzionalità e progressività non sono – ovviamente - sinonimi. La prima è una misura di equilibrio: ciascuno contribuisce in ragione della propria forza. La seconda è un possibile strumento per attuarla, ma non la esaurisce.

Quando l’articolo 53 incontrò la realtà

L’articolo 53 della Costituzione è uno di quei cardini silenziosi su cui ruota l’intero edificio repubblicano:

“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”

Dietro queste parole, scritte nel 1947, c’è un’idea quasi poetica di comunità: “contribuire” come verbo partecipativo, non punitivo. Il prelievo come forma di appartenenza, non di coercizione. La progressività nasce come limite al potere impositivo e come garanzia per il cittadino: nessuno deve essere chiamato a dare più di quanto la sua condizione gli consenta senza sacrificare la dignità.

Daniela Mendola l’ha definita “la più giuridica tra le virtù fiscali”, perché rappresenta la misura della legittimità del potere tributario. È, in fondo, un principio di giustizia prima ancora che di diritto.

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