Dalla piena proprietà alla scomposizione fiscale: quando nuda proprietà e usufrutto non si sommano
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Nel diritto, come nella chimica, non sempre la somma delle parti corrisponde all’unità del composto.
Lo ricorda l’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 133 del 2025, con la quale affronta un caso solo in apparenza lineare: la vendita “separatamente e contestualmente” della nuda proprietà e dell’usufrutto di un medesimo immobile, da parte di due comproprietari coniugati, in favore di due distinti acquirenti. Una fattispecie che solleva una questione apparentemente tecnica, ma densa di implicazioni: la cessione simultanea di questi due diritti, entrambi reali, può essere trattata fiscalmente come un’unitaria alienazione della piena proprietà oppure impone una lettura “atomistica”, con conseguente diversificazione del trattamento ai fini delle imposte sui redditi?
I contribuenti, nella prospettazione illustrata, richiamano a supporto un autorevole Studio del Consiglio Nazionale del Notariato (n. 14-2024/T), e rivendicano l’unitarietà dell’operazione in termini sostanziali: la separazione dei due diritti – usufrutto e nuda proprietà – non muterebbe la natura dell’effetto dispositivo, che rimarrebbe quello della fuoriuscita della piena proprietà dal patrimonio dei venditori. Da qui, l’asserita applicabilità dell’articolo 67, comma 1, lett. b), Tuir, che disciplina le plusvalenze immobiliari in caso di cessione a titolo oneroso di beni acquistati o costruiti da meno di cinque anni.
L’argomentazione poggia su un’idea intuitivamente seducente: la cessione frazionata della proprietà piena, in cui i due diritti vengono venduti separatamente ma in modo coordinato, dovrebbe produrre lo stesso trattamento fiscale di una cessione unitaria. L’alienazione, nella sua sostanza economica, è la stessa. Ma proprio questo passaggio dalla sostanza economica alla qualificazione fiscale dell’operazione segna il punto di non ritorno su cui si fonda la risposta dell’Amministrazione finanziaria.
La posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate appare difficilmente contestabile, anche sul piano sistematico.
Forte delle recenti modifiche normative introdotte dalla legge di bilancio 2024, l’Amministrazione ribadisce un principio di diritto destinato a imporsi come discrimine interpretativo: la costituzione di un diritto reale non è equiparabile alla sua cessione. E se l’articolo 9, comma 5 del Tuir, come novellato, estende il trattamento delle cessioni anche ai trasferimenti a titolo oneroso di diritti reali di godimento, lo fa “laddove non è previsto diversamente”. E nel caso della costituzione ex novo di un usufrutto, la previsione diversa esiste eccome: l’articolo 67, comma 1, lett. h).
L’operazione, dunque, per quanto realizzata con un unico disegno negoziale e in un unico contesto temporale, dà luogo, secondo l’Agenzia, a due distinti negozi: la costituzione dell’usufrutto, il cui eventuale corrispettivo è da tassare come “reddito diverso” ex lett. h), e la cessione della nuda proprietà, soggetta a regime di plusvalenza ex lett. b) solo se compiuta entro cinque anni dall’acquisto.
In sostanza: la fiscalità “spacchetta” ciò che il contribuente vorrebbe unificare. Né la contestualità né l’intenzionalità sono sufficienti, da sole, a generare un’unica operazione agli occhi del Fisco.
A supporto della propria posizione, l’Agenzia richiama due recenti ordinanze della Cassazione (n. 7154/2021 e n. 11922/2021) che affermano un principio chiave: la contestualità della cessione di usufrutto e nuda proprietà a soggetti diversi non implica una connessione oggettiva tra le due operazioni. Il collegamento, se esiste, è frutto della volontà negoziale delle parti, e come tale non può alterare la struttura civilistica (e dunque il trattamento tributario) dei negozi. Un principio che, a ben vedere, ribadisce una linea di demarcazione invalicabile: l’intento soggettivo non può modificare l’inquadramento oggettivo dell’operazione ai fini fiscali.
L’effetto di questa impostazione è tutt’altro che irrilevante sul piano applicativo: il corrispettivo percepito per la costituzione dell’usufrutto, poiché rappresenta la creazione ex novo di un diritto reale di godimento, costituisce reddito diverso tassabile sulla base dell’articolo 71, comma 2 del Tuir.
La cessione della nuda proprietà, invece, è soggetta al regime ordinario delle plusvalenze immobiliari, ai sensi degli articoli 67 e 68 Tuir, e quindi rileva solo se compiuta entro cinque anni dall’acquisto (fatte salve le consuete esenzioni).
Un’operazione che, nel complesso, si traduce quindi in due tassazioni autonome, potenzialmente cumulative, e che mal si concilia con l’idea, difesa dagli istanti, di un’unica dismissione patrimoniale.
La risposta dell’Agenzia si inserisce, dunque, nel solco di un orientamento teso a preservare la coerenza interna del sistema impositivo, anche a costo di sacrificare approcci che, sotto il profilo economico, potrebbero apparire più lineari. La linea di demarcazione tra “costituzione” e “cessione” di diritti reali, lungi dall’essere un tecnicismo da iniziati, segna la frontiera tra regimi impositivi profondamente diversi, proprio perché differenti sono le operazioni sottostanti: nella costituzione si genera un diritto; nella cessione si trasferisce un diritto già esistente.
L’interpello n. 133/2025, dunque, non solo chiarisce un nodo operativo spesso trascurato, ma riafferma, con rigore e coerenza, un principio fondamentale del diritto tributario: la forma giuridica non è un involucro neutro, ma incide profondamente sull’assetto fiscale dell’operazione. A nulla vale il tentativo, pur legittimo, di “riqualificare” in chiave unitaria ciò che, nella sua essenza, resta strutturalmente duale. La proprietà, scissa nei suoi diritti, perde la sua pienezza unitaria. Almeno, per il Fisco.