Dalla doppia tassazione all’interpretazione autentica: il legislatore interviene sul confine tra usufrutto e plusvalenza
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Con un intervento puntuale e chiarificatore, il legislatore è intervenuto, nella conversione del decreto fiscale 84/2025 su una delle più controverse letture rese dall’Agenzia delle entrate nell’ultimo anno: la risposta a interpello 133/2025.
La nuova disposizione introduce come interpretazione autentica dell’articolo 67, comma 1, Tuir, una regola netta: il corrispettivo percepito dal disponente che si spoglia integralmente di ogni diritto reale sull’immobile costituisce una plusvalenza (lett. b e b-bis), mentre solo in caso di mantenimento di un diritto reale residuo si configura un reddito diverso ai sensi della lettera h).
La norma sancisce così il principio dell’unità economica dell’operazione di dismissione, chiarendo che la tassazione non può duplicarsi per il solo fatto che la vendita avvenga con modalità formalmente frazionate (nuda proprietà da un lato, usufrutto dall’altro), ma contestuali e coordinate sul piano sostanziale.
È una norma che “riscrive” il perimetro fiscale dell’alienazione frazionata dei diritti reali, ponendosi in aperta antitesi rispetto alla recente risposta ad interpello 133/2025, nella quale l’Agenzia delle entrate aveva invece adottato un impianto argomentativo rigidamente formalistico, scindendo l’alienazione frazionata dell’usufrutto e della nuda proprietà in due autonomi momenti imponibili: da un lato, la costituzione dell’usufrutto da tassare come reddito diverso, dall’altro, la cessione della nuda proprietà come plusvalenza, da tassare a determinate condizioni.
Una scelta interpretativa, quella della risposta 133/2025, che aveva fin da subito sollevato diffuse critiche: su queste pagine si è parlato di “scomposizione fiscale”, ma anche di “duplicazione artificiosa”, tesa a generare una doppia imposizione su un’unica operazione sostanziale: quella con cui il contribuente si spoglia contestualmente della piena proprietà del bene.
Alla luce della nuova norma interpretativa, quell’impostazione appare oggi non solo superata, ma anche di fatto sconfessata dal legislatore stesso.
Il nodo centrale affrontato dal legislatore con il decreto fiscale è il seguente: quando si realizza una cessione unitaria, ancorché formalmente articolata, in cui il disponente non trattiene alcuna porzione del diritto reale, non vi è luogo per l’applicazione dell’articolo 67, comma 1, lett. h). Quella norma, come chiarito anche nella relazione tecnica all’emendamento, si riferisce a quelle fattispecie in cui il titolare mantiene in capo a sé una parte del diritto (tipicamente la nuda proprietà), mentre concede a terzi il godimento del bene, creando così un’autonoma fonte reddituale da sfruttamento parziale.
Ma nei casi, come quello esaminato nell’interpello 133, in cui l’operazione si conclude con la fuoriuscita integrale del bene dal patrimonio del cedente, anche se i soggetti acquirenti sono distinti e i diritti reali scorporati, l’effetto giuridico ed economico è equivalente a una vendita della piena proprietà. Ne discende, coerentemente, l’applicazione della disciplina delle plusvalenze immobiliari, e non una tassazione autonoma e parallela sul singolo diritto di godimento.
L’intervento legislativo si configura, quindi, come una misura volta a ristabilire coerenza tra effetto economico e trattamento tributario. È un ritorno ad un criterio sostanzialistico, che rispetta la natura unitaria dell’atto dispositivo e rifugge dalle frammentazioni meramente formali, che rischiano di tradursi in duplicazioni impositive estranee alla capacità contributiva effettiva.
In conclusione, la norma ora introdotta conferma, con la forza della legge, quanto molti avevano già intuito sul piano logico e sistematico: una vendita non si divide per il solo fatto che gli acquirenti sono due e che l’oggetto giuridico viene articolato tra nuda proprietà e usufrutto. Il Fisco può essere anche analitico, ma non fino al punto di dimenticare l’interezza dell’operazione.