Dal sogno di Turing al marketing di oggi: l’(AI)agente è già tra noi
di Alberto Ferrari
C’è un punto da cui partire sempre, anche quando si parla di futuro: il 1950. In quell’anno Alan Turing pubblicava un articolo destinato a diventare il manifesto originario dell’intelligenza artificiale. Lì non si parlava ancora di dati o reti neurali, ma si lanciava un’ipotesi audace –forse un progetto, forse un sogno: costruire una macchina che potesse pensare. Da quel momento, la corsa è iniziata. Prima i sistemi esperti, rigide strutture basate su regole logiche; poi l’era del machine learning, con algoritmi capaci di apprendere da grandi volumi di dati; infine, l’intelligenza artificiale generativa, che con modelli linguistici come GPT ha reso l’interazione uomo-macchina una realtà quotidiana.
Ma ogni fase di sviluppo tecnologico porta con sé nuove promesse e nuove illusioni. Oggi la nuova parola chiave è agenti. Più precisamente: AI agentica. Con questa espressione si intende una forma evoluta di intelligenza artificiale non più limitata a rispondere, sintetizzare o generare contenuti, ma capace di operare. In autonomia. Gli agenti intelligenti pianificano, eseguono task complessi, si collegano ad altri strumenti digitali, interagiscono in ambienti strutturati e perseguono obiettivi secondo strategie adattive. In altre parole: non aspettano più un prompt. Agiscono.
Non è un concetto astratto. Alcuni prodotti sono già realtà. LangChain e AutoGPT hanno aperto la strada nel 2023, dimostrando che un modello generativo poteva orchestrare catene di azioni. Oggi si parla di agenti verticali, personalizzati, persistenti. Rewind, Cognosys, AgentGPT, e soprattutto il progetto Devin (di Cognition AI) sono solo alcuni esempi. L’obiettivo è chiaro: costruire software intelligenti che possano non solo rispondere, ma interagire, pianificare, apprendere nel tempo, e soprattutto fare, anche in ambienti complessi come un sistema operativo o una suite aziendale. I grandi nomi si muovono rapidamente: OpenAI sta spingendo sulla funzione dei “memory agents”, Google lavora su agenti autonomi per Android, e Amazon ha annunciato tool agentici per i suoi sistemi cloud.
Ma a ben vedere, l’AI agentica non è una rivoluzione esterna al percorso che l’intelligenza artificiale ha già intrapreso: è la sua naturale evoluzione. Anzi, forse è già qui. Più che un nuovo paradigma, si potrebbe leggere come un rebranding – una nuova etichetta per qualcosa che in parte stiamo già usando. I chatbot generativi impiegati dalle aziende nei customer service, capaci di gestire richieste, consultare basi dati, eseguire azioni operative in autonomia, sono già forme di agenti. Semplicemente, li chiamiamo ancora assistenti. Allo stesso modo, i sistemi di guida autonoma che osservano l’ambiente, prendono decisioni e compiono manovre nel traffico reale sono agenti in piena regola: intelligenti, adattivi, operativi. Solo che li percepiamo ancora come tecnologie verticali, non come ciò che sono già: un esempio concreto di AI agentica. L’AI agentica non è altro che l’estensione coerente di una tecnologia che da tempo ha iniziato a muoversi, rispondere, e ora inizia anche ad agire.
Ma per agire davvero, ha bisogno di un’altra cosa: capitali. Tanti. Perché orchestrare ambienti complessi, connettori, orchestratori e memorie su scala richiede infrastruttura, standard, sviluppo continuo. Ecco perché serve anche un nuovo racconto, un nome nuovo, un posizionamento rinnovato. L’AI agentica è anche un esercizio di immaginario, necessario a giustificare – e a finanziare – la prossima grande ondata di investimenti nel settore.
Ma questa corsa pone nuove domande. Il primo ostacolo è tecnico: la gestione del contesto e della memoria, l’affidabilità delle azioni, la valutazione dei risultati. Poi ci sono i temi più delicati: come controllare un sistema che può modificare autonomamente l’ambiente digitale in cui opera? Chi è responsabile se un agente compie un’azione errata? Quanto è davvero “autonomo” un software che esegue istruzioni da codice scritto da altri? Infine, c’è la questione della fiducia: quanto siamo disposti a delegare (a una macchina) – e cosa?
Non importa se l’AI agentica sia già matura: è comunque già un mercato. Come sempre, la tecnologia corre più veloce della regolazione. Eppure, la domanda che torna è quella iniziale, simile a quella di Turing, ma aggiornata al nostro tempo: una macchina può agire autonomamente? E siamo pronti a lasciarla fare?