Dal controllo alla connessione: come sta cambiando il modo di gestire le persone
di Andrea Tordini
C’è un filo sottile che unisce il passato al presente nella gestione delle persone: quel filo è il potere, o meglio, la sua interpretazione. Se per decenni la leadership si è identificata con il controllo - la capacità di dirigere, coordinare, verificare e correggere - oggi sembra che la parola chiave sia diventata connessione. Un termine che evoca qualcosa di più profondo della semplice collaborazione: significa riconoscere che, per generare performance durature, serve costruire legami di fiducia, ascolto e reciprocità.
Non è un caso che, nel mondo del management, si ripeta spesso che la cultura supera sempre la strategia. Un’idea che esprime con precisione la trasformazione che oggi attraversa le organizzazioni: il passaggio da un modello verticale a uno più partecipativo e interdipendente. In quella affermazione si cela la rivoluzione che oggi tocca ogni organizzazione: il superamento del modello verticale e autoritario a favore di un approccio più partecipativo e interdipendente. Tuttavia, parlare di connessione non implica negare l’importanza della gerarchia; significa, piuttosto, ripensarla come una struttura al servizio del flusso, non come una barriera che lo blocca.
Negli anni del fordismo, la gerarchia era sinonimo di efficienza. Ogni ruolo aveva confini netti, ogni decisione un percorso predefinito. La prevedibilità era un valore, la standardizzazione una virtù. Ma con l’arrivo dell’era digitale e, più recentemente, con la rivoluzione del lavoro ibrido, la rigidità si è trasformata in limite. Le persone non cercano più solo di “essere dirette”: vogliono essere coinvolte, comprese, rese partecipi di un progetto che dia senso al loro contributo. È in questo passaggio che la connessione diventa un fattore competitivo.
Henry Mintzberg, uno dei pensatori più influenti nel campo dell’organizzazione aziendale, sosteneva che “Le aziende non sono macchine, ma comunità di persone”. Questa affermazione, tanto semplice quanto disarmante, svela l’essenza del cambiamento: non si tratta di sostituire la gerarchia con un modello anarchico, ma di restituire umanità al sistema organizzativo. In un contesto dove le informazioni viaggiano a una velocità impensabile e la conoscenza è diffusa, il valore del leader non sta più nel possesso dei dati, ma nella capacità di interpretarli e condividerli.
Il manager che sa connettere le persone è colui che non impone, ma ispira; non misura solo la produttività, ma coltiva la fiducia. L’autorevolezza nasce dalla coerenza e dalla capacità di costruire contesti in cui le persone si sentano libere di esprimersi.
Daniel Goleman, che ha portato nel mondo delle imprese il concetto di intelligenza emotiva, ha dimostrato come le competenze relazionali incidano direttamente sui risultati. Secondo le sue ricerche, la differenza tra un leader eccellente e uno mediocre deriva da fattori emotivi e sociali, non squisitamente da competenze tecniche. È la capacità di sintonizzarsi con le persone a fare la differenza. In questo senso, la connessione è una competenza a tutti gli effetti.
C’è, però, un rischio da evitare: quello di confondere la connessione con la confusione. A mio avviso, un’azienda senza una chiara struttura gerarchica non è necessariamente più libera; anzi, può diventare caotica, priva di responsabilità definite. La gerarchia resta un principio organizzativo imprescindibile, ma deve essere “respirante”: capace di adattarsi, di comunicare verso l’alto e verso il basso, di trasformare il comando in coordinamento.
La sfida contemporanea è proprio questa: mantenere la chiarezza del ruolo, aprendo le porte al dialogo. In molte aziende evolute si sta affermando una forma di “leadership diffusa”, dove la responsabilità non si esaurisce nella linea di comando, ma si distribuisce attraverso reti di collaborazione. Le nuove tecnologie, i sistemi di comunicazione integrata, le piattaforme di project management sono solo strumenti: ciò che fa la differenza è la cultura che li anima.
Comprendere la cultura oggi significa capire che le persone vogliono essere messe al centro. Non controllate, ma riconosciute. Valorizzate attraverso relazioni autentiche. La connessione diventa, così, una scelta di visione, che ridefinisce il senso stesso dell’autorità.
Anche le aziende più strutturate stanno riscoprendo la centralità delle relazioni. Molte organizzazioni stanno semplificando i processi decisionali, creando ambienti dove il feedback è continuo e la fiducia diventa la vera valuta interna. L’era del controllo totale è tramontata, perché le persone non sono più disposte a lavorare per chi non le considera parte di una storia comune.
La connessione, in definitiva, è la capacità di tradurre l’autorità in influenza, la direttiva in dialogo, la gerarchia in alleanza. In un mondo dove le competenze si aggiornano più rapidamente dei manuali e dove l’incertezza è la norma, solo chi sa connettere - visioni, generazioni, sensibilità - potrà guidare davvero.
Forse, oggi, la leadership più autentica è quella che non teme di mostrarsi vulnerabile. Come sostenuto da Simon Sinek, autore di Leaders Eat Last, i grandi leader non si fanno seguire per il potere che hanno, ma per la sicurezza che sanno creare. E la sicurezza, nel lavoro come nella vita, nasce sempre da una connessione vera.


