Da domani i professionisti devono "confessare" ai propri clienti l’utilizzo dell’AI (con linguaggio chiaro, semplice ed esaustivo)
di Lorenzo Romano
Il mondo delle professioni intellettuali in Italia – da Avvocati a Commercialisti, passando per Notai e Consulenti – è stato “investito” dalla Legge 132/2025, il cosiddetto AI Act italiano. La data spartiacque è quella di domani, 10 ottobre 2025, giorno in cui scatta l’obbligo di trasparenza totale sull’uso dell’Intelligenza Artificiale (se pensavi di poter usare un Large Language Model (LLM) in segreto, preparati a cambiare idea: la normativa impone una vera e propria rivoluzione antropocentrica della responsabilità).
L’articolo 13 della Legge 132/2025 è una sorta di baluardo etico e legale di questa trasformazione. Il principio è chiarissimo: l’IA può solo affiancare e supportare l’attività professionale, senza mai sostituirla.
L’IA è ammessa solo per l’esercizio delle “attività strumentali e di supporto all’attività professionale”. Tradotto in soldoni: l’algoritmo è il tuo collaboratore di studio, non il decisore principale.
Questo vincolo strutturale impone che il lavoro intellettuale del professionista rimanga prevalente rispetto al contributo algoritmico.
Cosa può fare l’IA?
L’uso è legittimo per massimizzare l’efficienza:
ricerca e analisi: ricerche giurisprudenziali rapide, estrazione di dati, analisi statistiche (IA Predittiva);
generazione preliminare: creare bozze documentali, testi iniziali o integrazione di clausole standard;
gestione: automazione di pianificazioni e gestione carichi di lavoro (attività di back-office).
Cosa è assolutamente vietato?
L’IA non deve mai diventare il cuore della prestazione d’opera. È proibito delegare decisioni che richiedano il giudizio, la competenza o la valutazione etica del professionista. Ad esempio, non puoi delegare la definizione autonoma della strategia legale o l’elaborazione di pareri finali complessi.
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