Il Mezzogiorno sta conquistando terreno, a livello economico, per quanto riguarda la produttività del settore manifatturiero. Questo è quanto emerge dall’annuale rapporto Svimez, presentato qualche giorno fa, che mette in evidenza un incremento del 13,6% della manifattura meridionale, con tanto di trend in crescita previsto anche per il prossimo biennio.
Macrodati economici diffusi dall’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno che sembrano risultati straordinari per un Paese come il nostro, in cui il Pil è praticamente stagnante da trent’anni. Ma non è tutto oro ciò che luccica. E infatti parliamo di un Pil del sud in crescita dello 0,7% nel 2025 e dello 0,9% atteso nel 2026, che supera le performance del centro-nord, ferme rispettivamente allo 0,5% e 0,6%.
Piccoli passi in avanti, dovuti anche ad una più bassa esposizione del sud agli shock esteri e globali (ad esempio la debole concorrenza import-export del nord Italia rispetto alla Germania), a un ciclo dell’edilizia senza dubbio accelerato da incentivi e Pnrr nonché a una ripresa del turismo (ne è un esempio la Calabria) e dei servizi in generale.
Il potenziale c’è ma è ancora a comparti stagni e a bassa specializzazione. Il che spiega perché il sistema non riesce a trattenere tutti quei “cervelli” in costante fuga dalla realtà meridionale, nonostante mezzo milione di posti di lavoro in più al sud, tra il 2021 e il 2024. Negli ultimi due anni infatti, sono 175 mila circa i giovani che hanno deciso di fare le valigie e andare, la metà di loro con una laurea in tasca (addirittura 7 su 10, se si parla di donne).
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