Costrizione e assenza di consenso: il dibattito sulla legge sulla violenza sessuale
di Francesca Negri
Il “caso Pelicot”, dal nome dell’uomo francese, Dominique Pelicot, che per molti anni ha fatto violentare la propria moglie, Gisèle, incosciente in quanto da lui drogata, da numerosi uomini, offre lo spunto per una riflessione sulle norme che disciplinano la violenza sessuale in Italia. La vicenda, infatti, ha interessato giuristi e opinione pubblica, anche nel nostro Paese, e ha riacceso un dibattito a vari livelli sull’applicazione della fattispecie di violenza sessuale nei casi di vittime completamente incoscienti o anche semplicemente addormentate, che non abbiano cioè avuto alcuna possibilità di reagire e di opporsi agli atti sessuali.
L’articolo 609 bis del nostro codice penale punisce la persona che con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe la vittima a compiere o subire atti sessuali. Il reato si configura anche quando l’autore, approfittando dello stato di inferiorità fisica o psichica della vittima (oppure traendola in errore per essersi il colpevole sostituito ad altra persona), la induce a compiere tali atti.
Ma nell’ambito dell’argomento che stiamo trattando è importante soffermarsi sulla rilevanza che il legislatore attribuisce al concetto di costrizione (attraverso violenza o minaccia) come elemento costitutivo della norma, senza che vi sia alcun riferimento a quello di assenza di consenso, come invece sarebbe ormai doveroso.
Infatti, prevedere che per l’integrazione del reato occorra la costrizione attraverso l’uso della violenza o della minaccia è concettualmente errato (se la vittima non acconsente, perché dovrebbe essere necessario un forzoso superamento del diniego?), ma lo è anche in quanto sottende un obbligo di difesa da parte della vittima, un dovere di resistenza che, invece, in molti casi la stessa non riesce o non può esercitare. Si pensi, per esempio a tutti i casi in cui non è cosciente, appunto, oppure non reagisce per paura o per evitare conseguenze peggiori (come quella di essere picchiata o uccisa), o ancora, si trova sotto shock oppure “si congela” (il c.d. freezing, cioè quello stato psico-fisico che inibisce la motilità, molto frequente nelle vittime di violenza sessuale).
Proprio nell’ambito dell’evoluzione interpretativa della norma, la Cassazione, peraltro in conformità alla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (ratificata dall’Italia nel 2013 ed entrata in vigore nel 2014), che all’articolo 36 chiede agli Stati firmatari di punire qualsiasi atto sessuale non consensuale, ha dunque riportato al centro il concetto di consenso. Ribadendo un costante e consolidato orientamento, la Suprema Corte ha recentemente precisato che “integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza di consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona”.
In altre parole, la Corte di Cassazione ha chiarito che non esiste un onere di resistere all’atto sessuale imposto, e che sulla vittima non può in alcun modo gravare una presunzione di consenso agli atti sessuali da smentire di volta in volta. Se si ragionasse in questi termini, infatti, si finirebbe per accettare supinamente “stereotipi culturali ampiamente superati” (cfr. Cass. Pen., sez. III, 10.05.23, n. 19599) e si avallerebbe una interpretazione della norma totalmente anacronistica.
In sintesi, si ritiene che il tempo sia ormai maturo per recepire questa interpretazione giurisprudenziale in una nuova norma che preveda in maniera chiara ed esplicita l’assenza di consenso come elemento costitutivo del reato. D’altra parte, sono ormai diversi i Paesi europei che, anche per adeguarsi alla Convenzione di Istanbul, hanno modificato la legge sulla violenza sessuale (per esempio, fra gli altri, Spagna, Svezia, Germania), ed è auspicabile che ciò possa accadere presto anche in Italia.
A questo riguardo, sembra che l’attenzione sia alta fra i giuristi in generale, e anche in ambito accademico e istituzionale. Proprio di recente, il 13 febbraio 2025, il dipartimento di Diritto Penale dell’Università Statale di Milano ha organizzato un workshop con differenti professionalità (professori, studiosi, giudici, pubblici ministeri, avvocati), dal quale è emersa unanimemente la necessità di riscrivere le norme sulla violenza sessuale in modo da uniformarle ai dettami della Convenzione di Istanbul e delle più recenti direttive europee per la tutela delle vittime.
E questo è stato ulteriormente ribadito, insieme alla centralità del consenso nella prospettiva di riforma della legge, pochi giorni più tardi, in un’audizione informale di giuristi presso la II Commissione Giustizia della Camera, nell’ambito dell’esame della proposta di legge recante “modifica dell’articolo 609 bis in materia di violenza sessuale e di libera manifestazione del consenso“ (n. 1693 Boldrini).