Lāapice della campagna anti-diversity, acceleratasi con il rafforzarsi delle chances presidenziali di Trump, cāĆØ stata quando il neo presidente ha addossato allāadozione delle politiche DEI (diversity, equity, inclusion) di recruiting governativa, la sciagura aerea di Washington. Con ordini esecutivi, le alte sfere presidenziali USA hanno da subito contrastato le pratiche di diversitĆ , equitĆ e inclusione federali, con promessa di estensione al settore privato. Nondimeno nei mesi precedenti allāelection day, la stampa di tutto il mondo ha riportato la scelta di molte big corporation quali Harley Davidson, John Deere, Jack Daniels, McDonaldās e Amazon di rivedere le proprie DE&I policies. Ad una prima lettura, quindi, vento che cambia ed intere divisioni chiuse e strategie riviste? Volendo non fermarsi alla superficie, la faccenda potrebbe non essere cosƬ semplice. Ć certamente vero che l'ordine esecutivo di Trump del 21 gennaio impone ai contractor federali di non considerare etnia e genere nelle assunzioni e selezione dei fornitori, ma allo stesso tempo esso non può inibire le esistenti norme di non discriminazione in materia di lavoro, in primis il Title VII della Civil Rights Act del 1964. In altre parole, gli uffici governativi devono continuare a rispettare le norme di non discriminazione e incentivare il coinvolgimento di persone con disabilitĆ e dei veterani. Anche in ambito privato, la stessa Harley Davidson che, come si accennava nellāagosto 2024, ha comunicato un passo indietro rispetto alle sue politiche DEI, a dicembre ha comunque rilasciato il suo rapporto demografico sulla forza lavoro, che evidenzia che negli ultimi 3 anni ĆØ più che raddoppiata la percentuale di afroamericani, ispanici e asiatici in posizioni apicali. I dati di Harley seguono le regole stabilite dalla Commissione per le Pari OpportunitĆ di Lavoro degli Stati Uniti, che impongono alle aziende con più di 100 dipendenti di rendicontare etnia e genere della loro forza lavoro per mansione. Ufficialmente, i rapporti annuali sono riservati, ma dopo gli eventi del 2020 dai quali ĆØ scaturito il movimento Black Lives Matter, la societĆ DiversIQ comunica che più dellā80 per cento delle quotate S&P 500 li divulgano pubblicamente. Nel 2019 erano il 5 per cento. Non va poi dimenticato che la maggior parte dei CEO delle Big Corp USA ha una quota variabile dei loro compensi legata a metriche riconducibili a tematiche sociali ed ambientali e che la loro modifica deve passare al voto dellāassemblea degli azionisti. Sia chiaro, ĆØ decisamente evidente come le aziende abbiano deciso di cambiare pubblicamente la loro retorica su DE&I ma non appare per ora in dubbio il fatto che le stesse continuino a raccogliere i dati. Quindi negli USA si sta adottando una strategia di āhushingā, ovvero quella per cui le iniziative si fanno ma le si comunica con più attenzione.
Cosa succede in Europa
Dalle nostre parti, nella buona vecchia Europa, esiste una direzione comune dettata da una direttiva comunitaria che ha ormai 5 lustri, la 2000/78/CE, quindi non figlia delle mode. La veritĆ ĆØ che, come accade poi con moltissime direttive che vengono elaborate a Bruxelles, lāinterpretazione e quindi lāapplicazione nei singoli Stati ĆØ sƬ subordinata a sensibilitĆ governative e dialettiche, ma va detto che norme a cui le aziende debbono tener conto ci sono. Parlando del caso italiano, gli spunti di riflessione non mancano. In tema di disabilitĆ e accesso al lavoro esiste la legge 68, anche questa di fine secolo scorso, che obbliga le aziende ad assumere una certa quota di personale con disabilitĆ in proporzione al numero totale di dipendenti. Tale obbligo ĆØ sanabile in molti casi con sanzioni; in altre parole, pago una multa al posto di assumere una persona disabile. I dati sono pochi e poco aggiornati: lāAgenzia Nazionale DisabilitĆ e Lavoro afferma che poco più di un terzo di persone disabili lavora (la metĆ circa della percentuale degli occupati generali), dato che crolla quando sono donne e giovani e solo in Lombardia le aziende hanno versato quasi 80 milioni di euro di sanzioni e contributi per non essere riusciti ad adeguarsi alle norme. In termini di paritĆ di genere, se da una parte lāItalia si ĆØ resa pioniera con la legge Golfo-Mosca del 2011 che sancisce lāobbligo di riservare almeno il 40 per cento dei posti nei CdA delle societĆ quotate e a controllo pubblico recuperando punti nei ruoli apicali, dallāaltra il tasso di occupazione femminile totale non arriva al 60 per cento, 20 punti sotto quello maschile a paritĆ anagrafica. Potremmo andare avanti ancora citando i bandi PNRR che impongono alle imprese aggiudicatarie di assumere una certa quota di personale femminile e under 35 e relazionare la PA circa le proprie politiche di paritĆ e inclusione. Non mancano quindi di certo le norme, anzi, ma nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, per parafrasare il gergo calcistico, come paese siamo stabilmente nella parte destra della classifica. La carenza ĆØ quindi più profonda, strutturale (anche infrastrutturale), dovendola cercare ad esempio sin dall'ambito educativo per contrastare lāabbandono scolastico dei ragazzi affetti da disabilitĆ , da una maggior efficacia nelle politiche attive del lavoro, una razionalizzazione e modernizzandone dei centri di collocamento o la presenza di asili nido che vedono solo una regione in Italia rispondere ai requisiti europei.
In conclusione, quello della DE&I ĆØ un tema inflazionato negli ultimi mesi da una trattazione superficiale, stereotipata e usata in modo improprio per fare propaganda politica. Dopotutto, non mancano ricerche accademiche e testimonianze aziendali che riportano come lāadozione di politiche di diversity in azienda stimoli idee, creativitĆ , strategie che poi si riverberano anche sui bilanci di fine anno. In questo senso consiglio la ricerca di Ambrosetti e Jointly che indaga non solo i benefici di tali politiche in termini di produttivitĆ ma anche i costi del non applicarle.