Cosa c’entrano JD Vance ed il trumpismo con il successo sostenibile di Patagonia?
di Filippo La Scala
Le cronache dell’ultimo viaggio in Italia di JD Vance raccontano che, mentre la moglie si godeva un tour a lei riservato del Colosseo (che ha fatto infuriare parecchi turisti costretti a restarne fuori, per motivi di sicurezza, sebbene avessero prenotato la visita), il vicepresidente degli Stati Uniti si concedeva un pomeriggio di relax prima a Villa Taverna – residenza dell’ambasciatore americano nella capitale - e poi in giro per Roma.
“Via l’abito, via la cravatta rossa, meglio i jeans, il cappellino con la visiera, la giacca-felpa verde scuro Patagonia…”.
Un abbigliamento informale, da turista come tanti, sembrerebbe… ma che in realtà, non si sa quanto inconsapevolmente, potrebbe iscriversi tra i messaggi contraddittori a cui ci ha abituato l’amministrazione Trump in questi (quasi) 100 giorni di governo.
Eh, si, perché il marchio Patagonia, in particolare negli Stati Uniti, evoca qualcosa di più che un iconico brand di abbigliamento sportivo.
Valutata oltre 3 miliardi di dollari, nel 2022 il suo fondatore Yvon Chouinard, americano di origini franco-canadesi, ha deciso che il destino della sua creatura non dovesse essere quello di essere venduta, magari ad un fondo di private equity, oppure quotata, ma che dovesse cederne il controllo alla non-profit Holdfast Collective, che da allora ne detiene il 98 per cento dei diritti economici, e al Patagonia Purpose Trust, che ne controlla il 98 per cento della governance.
“Da quando abbiamo iniziato a toccare con mano i danni del riscaldamento globale e della distruzione ecologica […] ci siamo impegnati a cambiare concretamente il modo di pensare e di fare business. Il nostro unico azionista ora è il pianeta. Se vogliamo sperare di avere un pianeta vivo e prospero - e non solo un'azienda viva e prospera - è necessario che tutti noi facciamo il possibile con le risorse che abbiamo”, scrive Chouinard.
Holdfast Collective devolve i dividendi percepiti (si parla di circa 100 ml. di dollari all’anno) a favore delle cause ambientaliste a cui Chouinard si è sempre dedicato, sin dai tempi in cui iniziò a realizzare in proprio attrezzatura da scalata innovativa (ad esempio, sostituendo i chiodi con dadi in alluminio - i celebri Hexentrics - di sua invenzione), favorendo il diffondersi di una tecnica di “arrampicata pulita”, che non rovinasse la roccia.
Non basta, Holdfast Collective, oltre a fare donazioni e investimenti per la salvaguardia ambientale, può, per statuto, sostenere cause e candidati politici: cosa che ha fatto sistematicamente.
Secondo Open Secrets, un’organizzazione statunitense indipendente, non profit e “non-partisan”, che traccia l’impatto del danaro nella politica americana, Holdfast Collective, nella tornata elettorale del 2024, ha contribuito con quasi 2,8 ml. di dollari al sostegno di diversi comitati elettorali, tra cui quelli di Kamala Harris e Alexandra Ocasio Cortez.
Su un totale di 78 donazioni, solo 3 sono andate a candidati indipendenti e 3 a candidati repubblicani, ma per importi molto modesti.
Yvon Chouinard si definisce “un socialista dichiarato”, ha affermato di ammirare i governi della Scandinavia e ha detto di non considerare il Venezuela uno stato socialista.
Se non proprio rappresentante del c.d. “wokismo”, la famiglia Chouinard è certamente esponente dell’opposizione netta all’idea trumpista del mondo, e ha fatto del concetto di “stewardship” (che si potrebbe tradurre con “amministrazione responsabile” delle risorse comuni, in senso lato) la sfida e la bussola per il governo di Patagonia, della cui proprietà si è spogliata, ma continuando ad influenzarne la gestione, per il perseguimento degli obiettivi e dei valori che ne caratterizzano le finalità statutarie (è una B-Corp).
Patagonia resta infatti un’impresa a tutti gli effetti, di grande successo, peraltro.
Pur destinando direttamente l’1 per cento dei propri ricavi al sostegno delle cause ambientaliste, non rifugge affatto dal profitto, che considera l’ineludibile strumento per continuare a salvaguardare la propria salute finanziaria, per finanziarne lo sviluppo, tenendo tuttavia in considerazione l’impatto delle proprie attività sull’ambiente, sul personale e sui fornitori, sui clienti e sulle comunità in cui opera (i c.d. portatori di interesse o “stakeholder”), come testimoniano le chiare ed esplicite politiche di utilizzo di materiali riciclati per la confezione dei capi, di trasparenza sulla catena dei fornitori, di forte incoraggiamento al riutilizzo e alla riparazione dei capi danneggiati “If it’s broke, fix it” (se è rotto, riparalo), incluse le guide online per gli interventi “fai da te”.
Sono tutte queste qualità immateriali che differenziano fortemente Patagonia dagli altri produttori di abbigliamento sportivo, anche i più noti, e che contribuiscono a motivare i suoi acquirenti (spesso dei veri e propri fan) a pagare un prezzo alto per i suoi capi, decretandone al contempo il successo di mercato e quello dei suoi valori.
Lo avrà capito il consumatore JD Vance che, indirettamente, ne sostiene le battaglie, ma che da politico le combatte?