Correttivi al processo tributario, se non banali, comunque abbastanza inutili
di Andrea Carinci
Con il Consiglio dei Ministri del 13 marzo 2025, ĆØ stato approvato un decreto correttivo, tra gli altri, anche del processo tributario. Qui, correttamente, le modifiche sono state pensate sia nel Dlgs. n. 546/1992 sia nel Dlgs. n. 175/2024, che ha previsto lāintroduzione, dal 1° gennaio 2026 del testo unico in materia di contenzioso tributario.
Ciò detto, le modifiche apportate non sono particolarmente rilevanti, anche se, in taluni casi, risolvono dei dubbi (più mentali, che non pratici).
La prima novitĆ ĆØ la previsione nellāarticolo 25-bis, comma 5-bis, per cui lāattestazione di conformitĆ , che deve essere apposta sugli allegati nel fascicolo, affinchĆ© il giudice ne possa prendere atto, non deve essere più fatta rispetto allāoriginale bensƬ al documento analogico detenuto dal difensore.
In effetti, sul punto, erano sorte perplessitĆ . In particolare, nella formulazione precedente, dove il difensore doveva attestare la conformitĆ allāoriginale, si era obiettato come ciò fosse in concreto spesso difficile, posto che al difensore non venivano forniti gli originali ma, al più, copie scansionate. Per effetto della modifica, non dovrĆ più essere attestata la conformitĆ , della copia depositata, allāoriginale analogico del documento, bensƬ, più semplicemente, al documento analogico in possesso del difensore.
Indubbiamente, un chiarimento, anche se di unāutilitĆ pratica concretamente limitata, posto che nellāoperativitĆ corrente i difensori non si sono mai concretamente preoccupati se il documento trasmesso dal cliente fosse o meno corrispondente allāoriginale. Questo, anche in ragione di quanto dispone lāarticolo 2719 c.c., per cui āLe copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformitĆ con l'originale ĆØ attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non ĆØ espressamente disconosciutaā. Posto quindi che, per negare lāefficacia di una copia, occorre contestarne la conformitĆ allāoriginale e che per condurre una simile contestazione occorre, con evidenza, avere contezza dellāoriginale, ĆØ evidente come concretamente il problema non si ponesse.
Meno chiaro il senso della modifica apportata allāarticolo 35, dove semplicemente viene sostituito il termine collegio con ācorte di giustizia tributariaā in ordine alla pronuncia della sentenza. Qui, semmai, i cambiamenti da fare erano altri.
Come noto, con la riforma operata con il Dlgs. 30 dicembre 2023, n. 220, ĆØ stata introdotta la novitĆ per cui il dispositivo deve essere pronunciato immediatamente una volta chiusa la discussione ovvero, nelle decisioni in camera di consiglio, dopo lāesposizione del relatore. Ciò, salva la facoltĆ per la Corte di rinviarne il deposito in segreteria di non più di 7 giorni. SennonchĆ©, chi ha pratica dei contenziosi tributari sa bene come questa modifica sia rimasta sulla carta. Ć infatti quanto meno raro che il dispositivo venga pronunciato ad esito della discussione ed anche il termine dei sette giorni ĆØ spesso derogato. Ma poi vi ĆØ un altro problema. Una volta avuto il dispositivo, poi nulla si sa più della sentenza, il cui deposito dovrebbe avvenire nei trenta giorni successivi alla deliberazione (articolo 37), ma anche qui si tratta di un termine ampiamente derogato. Il problema ĆØ poi che il deposito della sentenza dovrebbe essere comunicato alle parti, ma ciò a volte non accade. E sul punto la giurisprudenza di Cassazione ĆØ abbastanza impietosa, perchĆ© ritiene che non possa considerarsi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, la parte decaduta dallāimpugnazione per lāavvenuto decorso del termine di cui allāarticolo 327 c.p.c. che si dolga della non tempestiva comunicazione della sentenza da parte della cancelleria āposto che il termine di cui allāart. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, e non dallāomessa comunicazione da parte del cancelliere, non ravvisandosi in tale regime delle impugnazioni alcun dubbio di costituzionalitĆ ā (Cass. 11 marzo 2022, n. 7981; Cass. n. 17704 del 2010). Sul punto, insomma, un accorgimento sarebbe stato opportuno.
Il secondo correttivo toglie le parole āprimo gradoā nel comma 2 dellāarticolo 68, laddove si prevede il rimborso delle somme corrisposte in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza, entro novanta giorni. Quindi, si rende chiaro qualche cosa che però lo era giĆ di fatto, ossia che il rimborso va operato anche a seguito della sentenza di secondo grado.
Si ĆØ poi previsto, modificando lāarticolo 70, che la messa in mora, ai fini del giudizio di ottemperanza, può essere fatta oltre che a mezzo ufficiale giudiziario anche a mezzo PEC. Questa, indubbiamente ĆØ una semplificazione efficiente.
Infine, si è previsto che la conciliazione dei giudizi pendenti in Cassazione non valga solo per quelli incardinati dopo il 4 gennaio 2024, ma anche per quelli a quella data pendenti. Sicuramente un intervento apprezzabile, soprattutto perché era priva di senso la precedente limitazione.