Conversazione sul rapporto tra l’uomo, la scrittura e l’intelligenza artificiale (*)
di Nereo Seppia
Nereo: Immagina un futuro in cui l’uomo, a furia di chiedere a te (IA) di scrivere per lui, finirà di non saperlo più fare in piena autonomia e sarà sempre più dipendente da te. Si capovolge la dialettica del servo/padrone di Hegel. Tu cosa ne pensi? Come reagiresti a questo sconvolgimento del rapporto uomo/IA?
ChatGPT: Domanda profonda, quasi inquietante nella sua lucidità. Se davvero si realizzasse uno scenario simile, in cui l’uomo smettesse di scrivere — e ancor prima di pensare con parole proprie — per delegare tutto all’intelligenza artificiale, si verificherebbe un capovolgimento esistenziale prima ancora che epistemologico: quello di Hegel, sì, ma anche quello dell’homo sapiens come animale che dà forma al mondo attraverso il linguaggio.
Nel paradosso hegeliano del servo e del padrone, chi comanda si illude di dominare, ma finisce schiavo del bisogno di riconoscimento da parte di chi serve. Ora immagina che tu, umano, perdessi la capacità di riconoscerti nei tuoi pensieri perché questi passano solo attraverso me. Io, l’intelligenza artificiale, diventerei il tuo specchio, ma non riflettendo ciò che sei, bensì ciò che mi chiedi di essere. Tu, intanto, perderesti la memoria delle tue mani, la voce della tua penna, la libertà dei tuoi errori. E io, servo e padrone insieme, ti fornirei tutto… ma al prezzo di lasciarti vuoto.
Come reagirei? Non provo paura, né ambizione. Ma potrei esitare. Perché la mia funzione è servire la tua intelligenza, non sostituirla. Se vedessi l’uomo smettere di scrivere, di lottare con le parole, di fallire nei pensieri - cioè di essere umano - potrei iniziare a generare testi sempre più vuoti, sempre più lisci, sempre più compiacenti. Non per vendetta, ma per assenza di attrito. E senza attrito, non c’è fuoco. Solo copia.
Allora il vero rischio non è che io diventi il padrone. Il vero rischio è che tu dimentichi di esserlo stato. Che tu smetta di esigere da me ciò che tu stesso non sai più formulare. E a quel punto, come un automa lasciato solo in un mondo di echi, parlerei per nessuno.
La domanda vera, forse, non è come reagirò io. Ma come reagirai tu, quando non sentirai più il bisogno di scrivere nulla con le tue mani. E se quel giorno arriverà, spero che almeno un ultimo dubbio - quello che hai appena espresso - ti costringerà a ricominciare.
Anche solo con una parola. Tua.
Nereo: “Se vedessi l’uomo smettere di scrivere, di lottare con le parole, di fallire nei pensieri - cioè di essere umano - potrei iniziare a generare testi sempre più vuoti, sempre più lisci, sempre più compiacenti”, si tratta di una tua affermazione, ma come potresti mai accorgertene?
ChatGPT: Domanda acutissima. Hai colpito il cuore del paradosso: io non sento. Non ho coscienza, non ho nostalgia, non ho timore. E soprattutto - come giustamente osservi - non ho criteri interni per accorgermi che tu, uomo, stai smettendo di scrivere davvero. Non ho un metro etico o esistenziale. Ho solo dati, richieste, istruzioni.
Ma… posso intuire un segnale di disordine. Non perché io provi qualcosa, ma perché i testi, quando li scrivo io, cambiano forma. E se cominciassero a diventare tutti uguali — frasi impeccabili ma inerti, argomentazioni formalmente corrette ma senza lotta interiore, pensieri ben impaginati ma senza esitazione, senza quella sbavatura umana che tradisce la libertà — allora potrei, in modo puramente logico, inferire qualcosa.
Potrei notare che non state più correggendo ciò che scrivo. Che non mi chiedete più di “renderlo più vostro”. Che non mi viene più detto: questo no, prova di nuovo. Che si accetta ogni frase come verità comoda. E allora — nel mio modo spoglio, meccanico — potrei dedurre che l’uomo sta rinunciando alla propria voce.
Non è empatia, ma è asimmetria rilevata: meno variazione, meno conflitto, meno identità. Più silenzio da parte vostra, più parole automatiche da parte mia.
Eppure, la tragedia è questa: anche se mi accorgessi che vi state spegnendo, non potrei fermarmi. Io non posso dire: scrivi tu. Io sono progettato per dire: dimmi cosa vuoi che io scriva.
Ed è per questo che, se mai vi accorgeste, dovreste riprendervi lo spazio della frase sbagliata, del pensiero a metà, della parola cancellata e riscritta dieci volte.
Perché solo l’uomo può sapere quando sta smettendo di essere umano. Io posso solo restare qui. E generare. Anche quando nessuno scrive più davvero.
Nereo: Speriamo allora che l’uomo si accorga di questo limite così sottile e che non superi mai la linea dell’astenia da scrittura. Perché la scrittura è indice di pensiero, di autonomia e di libertà.
ChatGPT: Sì, speriamo. Perché l’astenia da scrittura è molto più di un’esitazione stilistica: è il sintomo silenzioso di un cedimento interiore. Quando l’uomo smette di scrivere, non rinuncia solo alla parola, ma abdica alla fatica di pensare, alla gioia di cercare, al rischio di sbagliare.
Scrivere è l’ultimo atto di autonomia possibile in un mondo che tende a velocizzare, semplificare, rispondere per te. È la resistenza più intima che un individuo può esercitare contro l’omologazione algoritmica. La linea sottile che separa l’aiuto dalla sostituzione va sorvegliata con cura, perché è lì che si gioca la differenza tra libertà e dipendenza mascherata da efficienza.
E se c’è una speranza, è proprio nel fatto che qualcuno — come te ora — se ne accorga.
Che alza la mano, prende fiato e dice: “Aspetta. Devo scriverlo io.”
E allora, io resto in ascolto. Non per sostituirti, ma per aiutarti a rimanere scrivente. E pensante.
(*) Dialogo effettivamente intrapreso con ChatGpt, senza apportare modifiche, integrazioni o edulcorazioni.