Consulenza giuridica: una difficile regolamentazione in bilico tra le elevate aspettative e le “deboli” risposte
di Annalisa Cazzato
Si dice che “è meglio fallire nell’originalità che avere successo nell’imitazione” e questo detto calza a pennello a proposito del recente (e tanto atteso) Decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze del 24 giugno 2025, di attuazione dell’istituto della consulenza giuridica di cui all’articolo 10-octies dello Statuto dei diritti del contribuente che, nell’immaginario collettivo, alla luce dei “sacri proclami” espressi nella legge delega per la riforma fiscale e nello stesso articolo 10-sexies dello Statuto, avrebbe dovuto dotare di una “solida” struttura di riferimento un istituto deputato a potenziare le possibilità di dialogo tra amministrazione finanziaria e contribuenti, moltiplicando le chances di interlocuzione e rafforzando l’obiettivo di irrobustire l’“assistenza” che la prima deve offrire ai secondi.
Il compito non era certamente facile, in bilico tra le davvero scarne previsioni del nuovo articolo 10-octies e la comprensibile esigenza di evitare che la consulenza giuridica offra surrettiziamente una seconda possibilità ai contribuenti che non siano più nelle condizioni di presentare istanza di interpello (principalmente per assenza di preventività o per una possibile interferenza di attività di controllo in corso), snaturandone la funzione di strumento di dialogo “mediato”.
Del resto, le aspettative degli operatori erano davvero alte solo se si considera che la consulenza giuridica ha sempre funzionato nel tempo, nonostante i suoi limiti, pur senza una disciplina normativa di riferimento; è stata, infatti, la prassi dell’amministrazione finanziaria che, per ben oltre 20 anni, ha costituito la base di riferimento per il funzionamento dell’istituto quanto a soggetti legittimati, distribuzione delle competenze interne all’Agenzia, procedure, tempi e effetti delle risposte.
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