È atteso entro il prossimo 31 marzo il Decreto attuativo del MIT per il calcolo degli indennizzi ai titolari uscenti delle concessioni balneari. Chi è del settore sa che lo storytelling è stato lungo e tortuoso, così che occorre riepilogare i temi principali di una narrazione complessa.
Partiamo dalla Direttiva Bolkestein che ha segnato un importante punto di svolta. Correva l’anno 2006 quando, la sua approvazione, con il nome dell’allora Commissario UE che la curò e la sostenne, imponeva la liberalizzazione del mercato dei servizi, incluso quello delle concessioni balneari.
La Direttiva sanciva i principi di:
non discriminazione,
parità di trattamento,
trasparenza nell’assegnazione dei titoli,
imponendo il ricorso a procedure di evidenza pubblica.
Da allora la normativa italiana fatica, rispetto alle indicazioni europee, continuando a prevedere proroghe automatiche delle concessioni.
Ma tanto tuonò che piovve, e sulle proroghe automatiche, la Commissione Europea, nel 2009 ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per violazione delle norme UE sulla concorrenza.
Di qui, l’inizio di un lungo braccio di ferro che, ad oggi, ancora continua.
Sotto i ponti della giurisprudenza, sono passate tante sentenze e, malgrado tali pronunce, la matassa è ancora da sciogliere, così che anche qui procediamo con ordine.
I principali protagonisti di questo film sono, da un lato l’Italia, che tenta di tutelare i concessionari storici, garantendo la continuità delle attività imprenditoriali impiantate su demanio pubblico, dall’altro la Commissione UE e la Corte di Giustizia che ribadiscono, a gran voce, la necessità di rispettare le norme sulla concorrenza.
Il copione dell’Italia ha visto avvicendarsi una serie di proroghe delle concessioni, ultima delle quali disposta con la Legge di Bilancio 2019 per la durata di quindici anni.
L’Europa, con Sentenza della Corte UE, si è espressa contro l’automatismo italiano, in quanto incompatibile con il diritto europeo.
La conseguenza: il generarsi di tanta incertezza per le parti in causa e, in particolare, incertezza per i Comuni obbligati a indire le gare per le concessioni scadute, oppure in scadenza, e incertezza per i concessionari con il timore di perdere gli investimenti effettuati.
Il legislatore italiano, in risposta a tanta incertezza, ha ritenuto di intervenire con la Legge n. 118/2022 che, sostanzialmente, si è proposta di bilanciare due interessi fondamentali:
rispettare i principi comunitari che impongono gare pubbliche e procedure competitive;
garantire una transizione equilibrata per i concessionari esistenti, molti dei quali hanno operato per anni sotto un regime giuridico diverso.
Nel 2024 il legislatore è nuovamente intervenuto con il Decreto-legge n. 131/2024 (noto come Dl Infrazioni), convertito in Legge n. 166/2024, che ha introdotto le seguenti novità:
proroga al 30 settembre 2027 delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative al fine di consentire l’espletamento delle nuove procedure di gara secondo le regole introdotte dallo stesso provvedimento,
proroga tecnica limitata al tempo necessario per concludere le gare,
proroga del termine per l’avvio delle gare al 31 dicembre 2025, per consentire l’adeguamento alle nuove regole agli enti,
obbligo di avviare le gare almeno sei mesi prima della scadenza delle concessioni,
la durata delle nuove concessioni potrà variare tra 5 e 20 anni, in funzione degli investimenti necessari e dei tempi previsti per gli ammortamenti,
aggiornamento dei canoni concessori, tenendo conto della redditività e della destinazione delle aree demaniali. Previsto un aumento automatico del 10 per cento se non si provvede,
tutela del legittimo affidamento dei concessionari, con previsione di un indennizzo a carico del concessionario subentrante, in caso di mancato rinnovo (si attende il relativo decreto),
semplificazione delle procedure di rinnovo per le concessioni già oggetto di riassegnazione, nel rispetto dei principi di concorrenza e non discriminazione,
sostegno alle attività economiche esercitate in forma di micro o piccola impresa (con canoni agevolati e forme di incentivazione fiscale per gli investimenti di riqualificazione).
In attesa dunque del Decreto MIT da emanare entro il 31 marzo prossimo, da cui si comprenderà il destino degli indennizzi spettanti agli uscenti, è utile ricordare un ultimo aspetto, che per citare gli inglesi “last but not least” riguarda le spiagge.
Legambiente ha denunciato come “l’innalzamento della temperatura e del livello del mare, erosione costiera, eccessiva antropizzazione dei litorali, inondazioni, eventi meteo estremi” minaccino le nostre coste che, ormai sono in “condizione di forte fragilità”.
Inoltre, nello stivale, secondo l’Ispra, Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale:
“(…) la superficie complessiva delle spiagge misura meno del territorio del solo municipio di Ostia, a Roma: 120 km quadrati, una superficie che comprende le grandi spiagge di Rimini o della Locride, fino alle piccole e suggestive "pocket beach" tra le scogliere dell'Asinara o alle spiaggette che sopravvivono tra i porti, il lungomare o le scogliere artificiali davanti le nostre città di mare. La misura appare piccola, mediamente le spiagge italiane sono profonde circa 35m, e occupano circa il 41 per cento delle coste, ovvero grossomodo 3400 km, su un totale di più di 8300 km.”
Da tali evidenze, la domanda sorge spontanea: credevamo di essere avanti risolvendo la stantia questione concessioni balneari o, invece, siamo forse indietro vista l’erosione delle coste che sembra averci sopravanzato?