La parola “compliance”, di indubbia radice anglofona, viene utilizzata spesso in ambito fiscale e contributivo. Un esempio ne è la comunicazione di “compliance” inviata al contribuente dall’Agenzia delle Entrate.
D’altronde, se in prima battuta il termine “compliance” può anche portare alla mente l’omonimo singolo del gruppo musicale britannico Muse, pubblicato a marzo del 2022, andando a cercare la traduzione proprio dall’inglese (anche semplicemente sul traduttore online), si può trovare come prima scelta il vocabolo tradotto in italiano “conformità” ma anche “condiscendenza” o addirittura “sottomissione”. Utilizzare quindi il termine inglese anziché un suo esatto corrispettivo della lingua italiana, potrebbe risultare fonte di incertezza sul perché di questa scelta.
È anche vero che, soprattutto negli ultimi anni, l’uso di termini stranieri e in particolar modo di derivazione anglofona, rischia di surclassare la nostra lingua di appartenenza. Soprattutto nel settore aziendale, la capacità di penetrazione e uso degli anglicismi è particolarmente elevata e “compliance” è solo una delle tante parole usate o abusate quotidianamente in questo contesto.
Etimologicamente, va detto però che la stessa voce deriva dal latino “complere” cioè compiere, realizzare. In tal senso la traduzione di “compliance” in “conformità” risulterebbe dubbia o quantomeno percepita in maniera confusa.
La parola “compliance” denota un’intima accettazione, espressa anche a livello comportamentale, corrispondente più verosimilmente all’italiano “acquiescenza”.
Con “compliance”, ma anche con “acquiescenza”, in ambito medico si definisce infatti il grado di accondiscendenza del paziente nel seguire i dettami prescritti dal proprio “dottore”. Sempre in questo campo, negli anni ‘60 del Novecento troviamo riferimenti alla “compliance” polmonare nei testi specializzati.
Il diffondersi del termine in ambito economico e amministrativo sembrerebbe invece successivo, andando ad assumere nel tempo significati diversi, già citati in precedenza.
Se per le aziende la “compliance” rappresenta quindi un particolare insieme di procedure per la tutela dai rischi di natura legale, fiscale, ecc., spingendo le stesse a cercare di “conformarsi”, in ambito psicologico si torna ad attribuire significato di “aderenza”, ovvero la capacità del paziente di seguire il percorso stabilito insieme al terapeuta.
Troviamo comunque questa stessa parola anche in riferimento alla fisiologia (sempre ricollegata all’ambito della medicina), ma anche nelle scienze fisiche, sia appunto in fisica che in reologia, tradotta in quest’ultimo campo come “cedevolezza”.
Se ci inoltriamo nuovamente in ambito giuridico, possiamo individuare dei riferimenti più recenti in relazione ad un’ipotetica “compliance” comportamentale, agognata come qualcosa che si ponga oltre una visione normativa del diritto e dove lo scopo parrebbe quello di ridurre i reati per mezzo della prevenzione. Si parla invero di approccio comportamentale e sistemico per la formulazione di norme di legge. Un concetto che sembra basarsi su ipotesi (anche di reato?) che però sfocia in ambiti diversi: quello psicologico e filosofico.
Conseguentemente, viene naturale immaginare una nuova filosofia di vita dove l’individuo, visto principalmente come “essere resiliente” (dove resilienza, vocabolo fin troppo gettonato, assume una connotazione intrinseca abbastanza simile a “compliance”), diventi attore passivo di un’esistenza in cui gli si chieda di “adattarsi” ad ogni situazione, anche imposta, dove inglobare il paradigma di un’eventuale “colpevolezza preventiva”, contesto nel quale risulterebbe evidente il paradosso di dover dimostrare la propria innocenza.
In conclusione, volendo intendere “compliance” come “accondiscendenza”, questo significato spingerebbe ad una sorta di adattamento, psicologico e comportamentale, già a partire dal singolo individuo.