Come valutare lo studio professionale con la tecnica dei portafogli
di Michele D’Agnolo
Quando si affronta la valutazione di uno studio professionale in vista di una cessione (o anche, seppur più raramente, di una fusione o di una scissione), ci si trova davanti a una sfida complessa e articolata. Non si tratta solo di attribuire un valore economico a una realtà fatta di uffici, computer e pratiche, ma di comprendere in profondità la qualità delle relazioni, delle competenze e della reputazione costruita nel tempo.
Uno dei metodi più efficaci per affrontare quest'analisi è la tecnica dei portafogli, che consente di scomporre lo studio professionale in quattro dimensioni principali: il portafoglio clienti e incarichi, quello dei collaboratori e dipendenti, quello degli asset materiali e, infine, quello degli asset immateriali.
Il primo elemento da valutare è rappresentato dal portafoglio clienti e relativi incarichi. In uno studio professionale, il cliente non è soltanto chi richiede una prestazione puntuale, ma è spesso parte di una relazione fiduciaria destinata a durare negli anni. Pertanto, occorre:
quantificare il numero di clienti attivi e analizzare la loro tipologia (privati, imprese, enti);
qualificare i servizi offerti: vi sono pratiche standard oppure ad alto contenuto specialistico?
valutare la fedeltà dei clienti: uno studio che gode di un elevato tasso di ritorno dei clienti esprime un valore ben maggiore rispetto ad uno che vive di flussi occasionali;
analizzare la concentrazione del rischio: se il fatturato dipende da pochi clienti principali, occorre tenerne conto nella valutazione.
Non va trascurata, inoltre, l'importanza del rapporto personale tra clienti e professionisti. In molti studi, soprattutto quelli di dimensioni ridotte, la figura del titolare è centrale e insostituibile. Questo elemento può ridurre la trasferibilità del portafoglio clienti, condizionando il valore di mercato dello studio.
Il secondo pilastro da esaminare è il portafoglio dei collaboratori e dipendenti. Gli studi moderni si basano su squadre organizzate, dove le competenze non sono più patrimonio esclusivo del titolare ma sono diffuse tra professionisti e personale amministrativo. L'analisi deve considerare:
il livello di autonomia dei collaboratori: quanto sono in grado di gestire clienti e pratiche senza il supporto diretto del titolare?
le competenze e la specializzazione: esistono competenze distintive che rappresentano un vantaggio competitivo?
la stabilità del team: un basso turnover è generalmente indice di un ambiente di lavoro sano e attrattivo;
la produttività: carichi di lavoro adeguati significano redditività delle pratiche e dello studio in generale;
la presenza di ruoli chiave: figure in grado di sostenere la continuità operativa anche in caso di passaggio di proprietà o riorganizzazione.
Il capitale umano, dunque, non si misura soltanto in termini numerici, ma anche qualitativi: motivazione, capacità di innovazione, abilità relazionali sono aspetti fondamentali da valutare.
Anche se il valore materiale degli asset potrebbe apparire secondario rispetto agli altri portafogli, una buona dotazione di asset materiali è comunque importante. Questa comprende:
la sede: un ufficio di prestigio, ben posizionato e adeguatamente attrezzato, può rappresentare un forte elemento di attrazione per la clientela;
le tecnologie: la presenza di sistemi gestionali evoluti, di strumenti per la digitalizzazione delle pratiche, e di infrastrutture IT sicure ed efficienti;
le dotazioni: arredi, sale riunioni, spazi per i collaboratori.
In questa analisi è importante non solo il valore attuale degli asset, ma anche la loro adeguatezza rispetto alle esigenze operative e di mercato future. Investimenti non programmati possono incidere significativamente sulla valutazione.
Infine, il vero cuore dello studio professionale risiede negli asset immateriali, spesso i più difficili da misurare ma anche i più determinanti per la competitività.
La reputazione: il nome dello studio, il grado di fiducia di cui gode presso clienti e colleghi, la visibilità sul mercato;
il know-how: procedure interne, capacità di innovare, modalità operative consolidate;
la rete di relazioni: non solo clienti attivi, ma anche fornitori, collaboratori esterni, istituzioni, enti pubblici e privati;
la capacità di generare nuove opportunità: l'abilità di attrarre incarichi senza attività commerciale esplicita è spesso il risultato di anni di lavoro e di un'efficace strategia relazionale.
Questi asset, intangibili ma preziosissimi, vanno dunque analizzati con grande attenzione anche attraverso strumenti qualitativi: colloqui con il titolare, interviste ai collaboratori, analisi di feedback dei clienti.
In sintesi, la tecnica dei portafogli, applicata alla valutazione di uno studio professionale, consente di costruire una fotografia completa e fedele della sua realtà. Non basta considerare il fatturato: occorre capire cosa lo sostiene e quanto è replicabile nel tempo. Soltanto attraverso un'analisi multilivello è dunque possibile stabilire il vero valore dello studio, prevederne l'evoluzione futura e impostare strategie efficaci sia in fase di crescita interna che di operazioni straordinarie come fusioni, acquisizioni o passaggi generazionali.
Il metodo dei portafogli può essere utile anche per affrontare programmi di miglioramento dello studio stesso.
Investire con metodo e costanza nella qualità di ciascun portafoglio – clienti, persone, asset materiali e asset immateriali – significa costruire un valore reale e durevole, capace di resistere ai cambiamenti e di generare opportunità nel lungo termine.