“Collezionisti” e venditori privati online: exit strategy con imposta sostitutiva
di Alessandro Borgoglio
Agli italiani piace collezionare e, qualche volta, anche vendere, tanto meglio se tax free. Per rendersene conto basta visitare le varie piattaforme online di compravendita tra privati (E-bay, Subito) che intermediano i “collezionisti” di orologi preziosi (Chrono24), dipinti, opere d’arte in generale e vino pregiato (Catawiki).
La “rete” ha sostituito gli spazi fisici, dove le transazioni avvenivano per lo più “riservatamente” di persona e in contanti, mentre oggi i pagamenti virtuali a distanza devono necessariamente passare per mezzi tracciabili, anche dal Fisco.
Non è un caso che la Direttiva DAC7, recepita in Italia con il Dlgs 32/2023, obblighi dall’anno scorso i gestori di piattaforme digitali a comunicare alle Autorità fiscali una serie di informazioni in relazione alle operazioni poste in essere dai venditori attraverso le loro piattaforme e applicazioni online: sono esclusi coloro che effettuano meno di 30 vendite e percepiscono complessivamente non più di 2.000 euro all’anno.
Al di là della segnalazione al Fisco, il problema è capire che cosa succeda dopo. Il TUIR non prevede, infatti, norme specifiche per coloro che, in qualità di privati, effettuano attività di compravendita di oggetti da collezione.
Soltanto l’anno scorso la Suprema Corte è approdata a una soluzione giurisprudenziale che sembra in via di consolidamento. Con le sentenze 1603/2024, 6874/2023 e 30895/2024 è stata operata una distinzione tra: mercante di opere d’arte, ovvero colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio - anche in maniera non organizzata imprenditorialmente - col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere; speculatore occasionale, cioè chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile; collezionista, ovvero chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza.
Con riguardo alla casistica di cui sopra, il sistema fiscale italiano prevede conseguenze differenti: per il primo (il mercante d’arte) si è in presenza di redditi d’impresa ex articolo 55 del TUIR e di assoggettamento a IVA come previsto dall’articolo 4 del DPR 633/1972 (ai fini fiscali, affinché si configuri un’impresa, non è necessario il requisito dell’organizzazione, essendo sufficiente il mero esercizio professionale e abituale dell’attività, anche non esclusivo). Lo speculatore occasionale, invece, genera redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. i), del TUIR, non trovando però assoggettamento ai fini IVA, per mancanza del requisito dell’abitualità. Diversamente, il collezionista non è soggetto ad alcuna imposizione.
La dottrina e la giurisprudenza hanno enucleato gli elementi su cui fondare la diversa qualificazione, come: lo scopo dell’acquisto, la frequenza e il numero delle transazioni, la durata del possesso, le attività finalizzate a facilitare la vendita e infine l’esame delle ragioni che hanno portato all’alienazione.
Il problema è che non esiste una definizione quantitativa precisa per rimarcare i confini di ognuna delle predette figure soggette a diverso trattamento fiscale, per cui, se la compravendita di oggetti di antiquariato genera un importo rilevante, il requisito della frequenza è trascurabile e l’operazione ha rilievo ai fini fiscali (Cassazione 2711/2006 e 8196/2008).
Il legislatore della Riforma Fiscale ha previsto l’introduzione di una disciplina sulle plusvalenze conseguite, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, dai collezionisti di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione nonché, in generale, di opere dell’ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative, escludendo i casi in cui è assente l’intento speculativo, compresi quelli di plusvalenza relativa a beni acquisiti per successione o donazione, nonché esonerando i medesimi da ogni forma dichiarativa di carattere patrimoniale (articolo 5, comma 1, lett. h, della Legge 111/2023).
Purtroppo, l’intenzione non si è trasformata in realtà con uno dei decreti delegati e, quindi, ancora oggi la materia risulta del tutto affidata alle decisioni dei giudici.
Per uscire dall’impasse velocemente, si dovrebbe/potrebbe codificare in norme le indicazioni - di buon senso - della Cassazione, delimitando i confini quantitativi per numero di transazioni e valore annuo delle tre figure - mercante d’arte, speculatore occasionale, collezionista/amatore - in modo tale che a ognuna di esse corrisponda un ben definito trattamento fiscale, escludendo totalmente da imposizione quelle vendite che comunque risultano al di sotto dei limiti di segnalazione stabiliti dalla Direttiva DAC7 (numero massimo di 29 e per non più di 2.000 euro annui) e prevedendo un particolare regime di tassazione per gli speculatori occasionali, come quello stabilito per le cessioni di oro da investimento, con imposta sostitutiva del 26% (articolo 67, comma 1, lett. c-ter, del TUIR e articolo 3, comma 1, del DL 66/2014) e senza IVA.