Recentemente si sono sviluppate alcune discussioni fra gli addetti ai lavori, in ordine agli effetti – in taluni casi, per molti, indesiderati, in altri, da alcuni, sottovalutati – di alcune delle norme del nuovo Codice della Crisi, specialmente in riferimento alla effettiva tutela del credito e alla effettiva portata dei sistemi di early warning.
In buona sostanza, mi pare di poter riassumere la questione in due domande (teoriche) di sottofondo e in quattro questioni (pratiche) tuttora irrisolte (almeno, non in maniera unanimemente concorde). Le due domande attengono al rapporto creditore-debitore nelle fasi in bonis della vita aziendale, ovvero se il pendolo normativo non si sia fermato su un eccesso di favor concesso al debitore, causando una caduta di fiducia nei soggetti creditori (commerciali o finanziari che siano) e se, conseguentemente, il credit crunch attuale, soprattutto verso le imprese di minori dimensioni e verso quei settori pregiudizievolmente considerati a maggior rischio sistemico, non dipenda in parte (se non soprattutto) da questo “sbilanciamento”.
Il tema è esploso – ed è la prima questione pratica – a seguito di alcune sentenze legate al credito bancario assistito da garanzie statali (ex Covid) che, da un lato, hanno di fatto rimarcato la responsabilità (i.e. nullità del credito) dell’Istituto bancario in caso di affidamento privo dei presupposti tecnici di rimborsabilità (i.e. erogato “solo” per l’effetto della garanzia pubblica) e, dall’altro, hanno irrigidito la possibilità di “transabilità” di quei debiti originariamente contratti con la medesima garanzia pubblica (i.e. anche per via della più favorevole ipotesi, per il soggetto finanziatore, di escussione della stessa). In realtà, alcuni interpreti avevano ben evidenziato le due tematiche fin dal principio, anche suggerendo (pur in ordine sparso) taluni accorgimenti procedurali e/o normativi, come ad esempio – chi qui scrive, sommessamente, buon ultimo fra gli esperti – la previsione normativa di forme di matusalem financing e di accentramento dei debiti contro-garantiti in un unico fondo pubblico-privato con possibilità di “remissione residuale” del credito, proprio per evitare la differente posizione di “interessi” fra Istituto finanziatore (i.e. soddisfazione del proprio credito) e soggetto pubblico garante (i.e. nel ruolo di “debitore di ultima istanza”) nel rapporto con il debitore principale (i.e. azienda in crisi, “oggetto” di tutela da parte del Legislatore col Codice della Crisi). In proposito, risulta evidente come un errore di prospettiva abbia portato alla situazione attuale: le contro-garanzie erano state pensate per prevenire la moria di imprese nella stagione pandemica, ma, essendo mancata una (opportuna e meglio normata) regolamentazione del (prevedibile) periodo temporale successivo, si stanno tramutando in alcuni casi in ostacolo alle procedure di salvataggio delle imprese debitrici. Invero, generando in parte anche l’effetto opposto, nel rapporto in bonis fra finanziatore e debitore, ovvero un calo generalizzato di fiducia che sta alimentando la contrazione di credito alle imprese stesse. Acuendone, con ciò, le fasi di (pre)crisi.
Insomma, un effetto prociclico negativo, ben diverso dagli obiettivi del Legislatore al momento dell’allargamento del perimetro di utilizzo delle garanzie pubbliche. Prociclicità, peraltro, che si manifesta anche – ed è questa la seconda questione pratica – nella “disattenta” prospettiva con cui (spesso) si parla di early warning, ovvero quelle misurazioni di indici e valutazioni di proiezioni finanziarie che l’adozione degli ormai famosi adeguati assetti ha reso obbligatorie. Una previsione di perdita economica transitoria o una contrazione dei flussi di cassa prospettici dovuta a motivazioni contingenti, sono ora più difficili da “giustificare” di fronte agli organi di controllo e, ancor più, di fonte agli Istituti di credito che, spaventati dalle incertezze economiche e dal calo di fiducia nella tutela del credito (come anche prima motivata), spesso anticipano la riduzione di linee di credito, alimentando un loop perverso con le (obbligatorie) segnalazioni agli organi di controllo stessi. Insomma, il rischio è che da strumento di allerta gestionale si stia passando a giudizio accelerato di irreparabilità della situazione contingente (si pensi alle riduzioni generalizzate di credito intervenute nell’ultimo biennio per settori come l’indotto dell’automotive, l’immobiliare o il calzaturiero), troppo lasciato all’aleatorietà di un giudizio soggettivo “anticipato” (delle banche e dei sindaci/revisori) e, ancor più pericoloso, “postumo” (del giudice, poi).
Sul punto, poi, si aggiunga – ed è la terza questione pratica – la difformità di giudizio (tecnico) che (anche) gli addetti ai lavori danno ad alcuni di questi indicatori. Il “modaiolo” utilizzo dell’EBITDA (a volte foriero di falsi positivi, in talune ipotesi; si pensi a manipolazioni di magazzino e/o a carenze di valutazione dell’ageing dei crediti, per dire), le multiformi modalità di calcolo della PFN e, soprattutto, del DSCR prospettico (in linea teorica indicatore migliore, se calcolato correttamente), la soggettività della valutazione della temporaneità o meno di shock finanziari e/o di mercato (cui si somma l’ancora mediamente non diffuso utilizzo omogeneo di banche dati univocamente attendibili), che si sommano e determinano un’eccessiva aleatorietà nei comportamenti degli addetti ai lavori (consulenti, sindaci, revisori) di fronte a situazioni simili fra loro.
E, infine – ed è la quarta questione pratica – la necessità (provocatoria) di una attenta maggiore riflessione sulla circostanza se, stante l’attuale (migliorabile, come si evince da quanto detto fin qui) tendenza in atto di privilegiare le valutazioni prospettiche finanziarie al mero dato patrimoniale contabile, non sia giunto il momento di modificare l’impianto normativo (ormai datato) in riferimento alle “garanzie” del capitale sociale (con tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano), sostituendole con più coerenti (all’impianto attuale) garanzie date dal giudizio di continuità aziendale (in ottica di previsioni finanziarie) richiesto già normativamente dagli adeguati assetti.