Chirurgia estetica e IVA: un chiarimento necessario per chiudere i conti con il passato
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Con la risoluzione 42/E del 12 giugno 2025, l’Agenzia delle Entrate interviene a chiarire l’ambito applicativo dell’articolo 4-quater del Dl 145/2023, convertito con modificazioni dalla L 191/2023, disposizione che ha inciso significativamente sul regime IVA delle prestazioni di chirurgia estetica. L’intervento risolve dubbi che si erano generati tanto sul piano delle prestazioni future quanto, soprattutto, su quello dei comportamenti passati, offrendo un punto di approdo utile a fugare l’incertezza nella prassi degli operatori e nei controlli dell’Amministrazione.
Il comma 1 dell’articolo 4-quater ha stabilito che, a partire dal 17 dicembre 2023, data di entrata in vigore della legge di conversione, l’esenzione dall’IVA prevista dall’articolo 10, primo comma, n. 18), del Dpr 633/1972, si applica alle prestazioni sanitarie di chirurgia estetica rese alla persona con finalità terapeutiche, purché tali finalità risultino da apposita attestazione medica. La disposizione si colloca nel solco della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che aveva riconosciuto la possibilità di esenzione solo per i trattamenti estetici con finalità curative, incluse quelle psico-fisiche.
La risoluzione offre anzitutto alcuni chiarimenti rilevanti in merito al comma 1 dell’articolo 4-quater, confermando, in particolare, che l’attestazione della finalità terapeutica può essere rilasciata anche dal medico esecutore dell’intervento, purché da tale attestazione emerga chiaramente il nesso tra la patologia diagnosticata e la prestazione di chirurgia (o medicina) estetica. Si tratta di una precisazione non trascurabile, che si dimostra coerente con le esigenze concrete dell’attività clinica e con l’assetto organizzativo delle prestazioni sanitarie.
Tuttavia, la medesima risoluzione precisa anche che l’attestazione deve essere redatta in data antecedente all’intervento. Questo vincolo temporale, pur apparendo motivato dall’intento di evitare abusi, come il rilascio di attestazioni a posteriori costruite ad arte per giustificare esenzioni non spettanti, solleva più di una perplessità: è davvero irragionevole ritenere che un’attestazione resa successivamente all’intervento, purché adeguatamente documentata e motivata, non possa costituire valido supporto per l’esenzione? Semmai, sarebbe stato più coerente richiedere che l’attestazione fosse redatta prima dell’emissione della fattura, assicurando così che, a quella data, fosse già disponibile una documentazione idonea a giustificare il regime di esenzione applicato. La scelta operata, invece, sembra rispondere più a una logica formale che sostanziale, e finisce per introdurre una condizione priva di reale giustificazione pratica.
Se il comma 1 dell’articolo 4- quater si proietta sul futuro, delineando le condizioni per l’applicazione dell’esenzione IVA alle prestazioni estetiche a partire dal 17 dicembre 2023, il comma 2 guarda invece al passato, ponendosi l’obiettivo di disciplinare retroattivamente i comportamenti già adottati dai contribuenti. Ed è proprio sul terreno delle operazioni pregresse che si gioca oggi la partita più delicata tra contribuenti e Amministrazione finanziaria. Il pregio della risoluzione n. 42/E risiede allora nell’avere finalmente fornito, soprattutto agli Uffici territoriali, un’interpretazione univoca del comma 2: le prestazioni di chirurgia estetica, effettuate prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145, alle quali sia stato applicato il regime di esenzione Iva, restano in regime di esenzione, indipendentemente dalla dimostrazione della finalità terapeutica. Si tratta di un riconoscimento espresso del valore del legittimo affidamento, maturato anche alla luce della circolare 4/E/2005, che già qualificava come esenti le prestazioni mediche di chirurgia estetica connesse al benessere psico-fisico della persona.
Il chiarimento consente dunque ai soggetti sottoposti a verifiche, o potenzialmente esposti a esse, di tirare un significativo sospiro di sollievo per quanto concerne le operazioni effettuate fino al 17 dicembre 2023. La precisazione riveste particolare rilievo in un contesto caratterizzato da un’elevata conflittualità interpretativa e da un contenzioso diffuso, incentrato soprattutto sulla natura e sull’idoneità della prova richiesta per attestare la finalità terapeutica delle prestazioni.
Resta, tuttavia, un profilo critico insito nella norma stessa: la disparità di trattamento tra contribuenti. Se da un lato il legislatore ha scelto di salvaguardare il legittimo affidamento di coloro che, prima del 17 dicembre 2023, hanno applicato l’esenzione IVA, dall’altro ha espressamente escluso la possibilità di rimborso per quei contribuenti che, pur trovandosi nelle stesse condizioni, hanno già versato l’imposta, sia a seguito di accertamenti, sia volontariamente, per prudenza. Eppure, se l’intento fosse stato davvero quello di tutelare l’affidamento maturato in un contesto normativo incerto, anche questi soggetti avrebbero dovuto vedersi riconosciuto il diritto alla restituzione di quanto indebitamente corrisposto. Così non è stato: le esigenze di cassa hanno prevalso su una coerente applicazione del principio di tutela, lasciando un’(ulteriore) area grigia di iniquità.