Chiarito l’equivoco sull’efficacia esecutiva del mutuo notarile con deposito cauzionale
di Niccolò Pisaneschi
È oggetto di attenzione, in questi giorni, la sentenza della Cassazione a sezioni unite 6 marzo 2025 n. 5968. Si tratta di una decisione che regola la materia del quando possa dirsi perfezionato un contratto di mutuo fondiario e – di conseguenza – del che cosa valga come titolo esecutivo, nell’alternativa tra lo stesso contratto e un ipotetico successivo atto di quietanza stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata. Con la sentenza in discorso si è optato per la prima soluzione, ritenendo che valga a fondare un processo di esecuzione l’atto pubblico con cui la mutuante concede una somma al mutuatario con il patto di restituirla immediatamente per vederla, poi, svincolare al verificarsi di particolari condizioni (la regolare iscrizione dell’ipoteca in primis).
Il problema del che cosa valga come titolo esecutivo in presenza di contratti di mutuo si pone in ragione della loro particolare natura. Ammesso, infatti, che tali contratti abbiano efficacia reale (ma la cosa, come diremo più avanti, non è affatto certa), ne viene per conseguenza che essi acquistano efficacia solo a seguito dell’effettiva dazione delle somme. Nel caso in cui la dazione sia contestuale alla stipula il contratto è perfetto sin dal momento della sua conclusione e vale come titolo ab origine, mentre se la dazione non è contestuale è solo con l’erogazione che il contratto acquista efficacia di titolo esecutivo.
Ovviamente, spostando il focus sulla traditio delle somme, nasce il problema di quando essa possa dirsi effettivamente verificata.
A fronte di una lettura minoritaria che impone la disponibilità materiale delle somme in capo al mutuatario, ritenendo che eventuali vincoli di disponibilità sulle somme sarebbero idonei ad escludere l’esistenza di una traditio (Trib. Roma 13 maggio 2015); che depositi cauzionali impediscano la nascita di titoli esecutivi (Trib. Pescara 12 giugno 2017); e che in sostanza ogni qualvolta il mutuante non riceva contestualmente alla stipula del contratto di finanziamento le somme mutuate, il contratto di mutuo non si perfezioni (Trib. Cassino 25 novembre 2018), la maggior parte della giurisprudenza ritiene che la disponibilità di somme non debba essere materiale ma giuridica. Si affianca, pertanto, in posizione paritetica alla immediata acquisizione della disponibilità materiale del denaro l’acquisizione della disponibilità giuridica di esso, correlata con la contestuale perdita della disponibilità delle somme mutuate in capo al soggetto finanziatore.
A sua volta, secondo la giurisprudenza le modalità con cui il mutuatario acquisisce la disponibilità giuridica delle somme sono varie. Oltre a quella (certamente più scontata) dell’accreditamento delle somme mutuate nel conto corrente del mutuatario (Cass. 2483/2001), si è ad esempio ritenuto che il contratto si perfezioni con la consegna di un assegno (Cass. n. 14/2011); quando il mutuante dia specifico incarico al mutuatario di impiegare la somma mutuata per un proprio interesse (Cass.1116/1992); quando la banca si impegna a versare un importo determinato a un terzo mediante un mandato emesso sulla propria cassa cui segua un "atto di quietanza finale di mutuo fondiario" (Cass. 25569/2011) e più in generale ogni qualvolta la somma oggetto di dazione esca dalla disponibilità della banca in vantaggio del mutuatario, indipendentemente dal fatto che questi possa immediatamente fruirne (Cass. 6686/1994).
Nel caso particolare del versamento delle somme in deposito cauzionale infruttifero, come nel caso di specie, la giurisprudenza, però, non era sempre conforme, differenziandosi a seconda del valore attribuito al concetto di disponibilità giuridica delle somme.
Secondo una giurisprudenza più attenta al momento sostanziale del negozio, il trasferimento del denaro seguito immediatamente dopo dalla sua restituzione (il versamento in deposito) in quanto corrispondente a una propria finzione giuridica, non sarebbe potuta valere come traditio (così ad esempio Cass. 12007/2024). Secondo altra invece, di più elevato rigore formale, l’ingresso delle somme nella disponibilità del mutuatario, anche per un solo momento, sarebbe stato da considerarsi un vero e proprio trasferimento di titolarità dei beni (così Cass. 25632/2017) e come tale idoneo a determinare il perfezionarsi del contratto di mutuo e come tale valere come titolo esecutivo.
Con la decisione in discorso la Cassazione ha risolto i conflitti giurisprudenziali in favore della teoria apparentemente più formalistica, ma forse anche più rispettosa degli equilibri sostanziali del contratto.
Sono note, infatti, non solo le problematiche incontrate dalle banche mutuanti (nonché frequentemente dai successivi cessionari del credito, altre banche o servicer che fossero) ad azionarsi a tutela dei propri diritti in difetto di un atto di erogazione e quietanza finale spesso neppure previsto in contratto, ma addirittura la conseguente e spesso paradossale necessità di rifornirsi di un titolo esecutivo di derivazione giudiziale (con l’utilizzo di procedimenti monitori in primis).
La sentenza della Cassazione in commento, semmai, lascia dubbiosi per una ragione differente. Nel caso di specie si trattava (come detto in premessa) di un contratto di mutuo fondiario. Secondo giurisprudenza della stessa Cassazione (Cass. 9101/2003), i mutui fondiari non avrebbero efficacia reale ma obbligatoria. In questo senso essi si perfezionerebbero sempre con la stipula, indipendentemente dal momento del verificarsi della traditio.
Perché, allora, tanta concentrazione sul momento in cui può dirsi effettivamente trasferita al mutuatario la somma oggetto del contratto? Se i contratti di mutuo fondiario, a differenza dei contratti di mutuo ordinario, non hanno efficacia reale ma obbligatoria, è davvero comunque rilevante individuare il momento in cui viene effettuata la traditio delle somme?
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