“ChatGPT mi ha detto così. Lei che ne pensa?” Dalla consulenza “da bar” all’era dell’intelligenza artificiale: cosa cambia davvero per i professionisti
di Simona Baseggio
Non mi era mai capitato.
Un cliente, fino a prima sconosciuto, (mi) prenota un’ora di consulenza online. E fin qui tutto normale. Puntuale, gentile, lucido. Mi espone un caso non banale di mancato rimborso IVA, in bilico tra le maglie di una contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Poi, con assoluta trasparenza, aggiunge: «Ho già parlato con ChatGPT. Mi ha suggerito una possibile strada, ma so che può sbagliare. Volevo capire se, secondo lei, è percorribile.»
Istintivamente, ho sorriso. Non per ironia, ma per lo spunto: non stiamo forse assistendo alla nascita di una nuova forma di consulenza?
L’utente non viene più per partire da zero, ma per verificare ciò che ha già intuito – con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Cerca il conforto di una voce umana, professionale, capace di confermare, smentire, raffinare.
Ma a ben vedere, questo atteggiamento non è affatto nuovo. È solo cambiato lo strumento.
Un tempo c’era il “cugino che ne capisce”, il “bar sotto l’ufficio”, poi i forum, e infine Google. Ora c’è ChatGPT. Ma la dinamica è la stessa: cercare di orientarsi prima di rivolgersi all’esperto, farsi un’idea, mettersi al riparo dalla sensazione di totale dipendenza dal professionista.
Con una differenza: l’analisi “fai-da-te”, con gli strumenti attuali, è diventata più articolata, più sofisticata, talvolta più insidiosa.
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