Cessione di quote di partecipazione degli studi associati: risolto definitivamente il problema?
di Annalisa Tartaglia
La nuova formulazione dell'articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis) del Tuir, come modificato dal recente DLgs 192/2024 “Irpef/Ires”, sembra mettere fine ai dubbi finora emersi sulla tassazione della cessione a titolo oneroso di quote di partecipazione delle associazioni professionali.
La precedente formulazione dell'articolo 67 del Tuir aveva portato parte della dottrina a ritenere che la cessione a titolo oneroso di quote delle associazioni di cui all'articolo 5, comma 3, lettera c) – comprese le società semplici professionali in quanto assimilate – avesse un'irrilevanza reddituale, vista l'esplicita esclusione dalla categoria del capital gain disposta dalle lettere c) e c-bis) dello stesso articolo 67, comma 1, esclusione peraltro ribadita dall'Amministrazione Finanziaria nella circolare n. 165/E del 1998. Una parte della dottrina, invece, considerava la plusvalenza generatasi come una somma tassabile come reddito da lavoro autonomo, in analogia alla tassazione prevista per i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali, comunque riferibili all'attività artistica o professionale, indicati espressamente nel vecchio articolo 54, comma 1-quater, del Tuir tra le somme che concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo. Un'altra parte della dottrina riteneva tali corrispettivi come redditi diversi in quanto “assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.
A seguito delle modifiche apportate dal decreto n. 192/2024, la questione viene (parzialmente) risolta: scompare, nel nuovo articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis), l'esclusione delle associazioni di cui all'articolo 5, comma 3, lettera c), del Tuir; eliminazione necessaria, dal momento in cui con la riforma fiscale il legislatore ha introdotto nel Tuir, attraverso la modifica all'articolo 54, il principio della omnicomprensività (si veda quanto riportato a breve) nella determinazione del reddito di lavoro autonomo. In questo modo, i proventi percepiti a seguito della cessione di quote di associazioni professionali vengono senz’altro a produrre reddito da lavoro autonomo.
In merito alla tassazione di questi proventi, il legislatore ha previsto che gli stessi seguano sostanzialmente il trattamento fiscale della cessione della clientela o degli elementi immateriali (anch’essi compresi nel “principio di omnicomprensività” del nuovo articolo 54 del Tuir, in base al quale rilevano “le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti … in relazione all’attività artistica o professionale”), includendoli anche nella possibilità di fruire della tassazione separata (articolo 17, comma 1, lettera g-ter), del Tuir).
Viene infatti prevista la tassazione separata anche per i proventi da cessione di quote delle associazioni professionali e di società semplici, se percepiti in più rate nello stesso periodo d'imposta.
Nulla cambia invece per le società tra professionisti (Stp o Sta) che determinano il reddito secondo le regole del reddito d'impresa, le cui eventuali cessioni di quote continuano, come in precedenza, a rientrare nei redditi diversi, secondo il regime del capital gain.
In prima lettura, queste modifiche normative sembrano dare finalmente certezza, ma rimangono degli aspetti che andrebbero chiariti.
In primo luogo, non è chiaro come debba essere calcolato questo plusvalore da cessione di quote delle associazioni professionali. Mentre per quanto riguarda la determinazione del capital gain, gli articoli 67 e 68 del Tuir dettano regole chiare, per quel che riguarda la plusvalenza da cessione di quote di studi associati, il legislatore non definisce quale costo vada riconosciuto fiscalmente per ridurre la plusvalenza generatasi, e manca comunque una disciplina transitoria.
Un altro dubbio riguarda il comportamento che un associato senza partita Iva dello studio associato dovrebbe avere in fase di compilazione della propria dichiarazione dei redditi, qualora cedesse la propria quota; il reddito, se assoggetto a tassazione ordinaria, perché percepito in più anni, dovrebbe rientrare nel quadro RE, ma ci si chiede a che titolo potrebbe essere compilato il quadro senza una partita IVA.
Il tentativo, proposto nella relazione illustrativa della legge delega, di fornire agli operatori un quadro chiaro dei criteri di determinazione dei componenti positivi e negativi del reddito di lavoro autonomo, non trova quindi una sua perfetta “quadratura”: occorrerà certamente riflettere sulle questioni poste, magari in sede del prossimo decreto “correttivo” dei vari interventi della riforma.