Cessione di NTF: come fatturare l’operazione in assenza dei dati dell’acquirente?
di Maurizio Nadalutti
Negli ultimi anni appare sempre più evidente che il diritto, specie quello tributario, è costretto a “rincorrere” l’evoluzione tecnologica, talvolta arrancando.
Le norme “storiche” presenti nel nostro ordinamento in molti casi, infatti, mal si conciliano con i nuovi fenomeni della tecnica e l’intervento del legislatore spesso si limita a rattoppare i vuoti normativi, senza pensare ad una apposita disciplina organica e completa.
Un esempio lampante è quello delle cripto-attività. Con la legge di Bilancio 2023 (Legge 197/2022) sono state introdotte delle disposizioni ad hoc per disciplinare tale fenomeno, ma molti aspetti sono stati dimenticati, ponendo in difficoltà gli operatori economici.
Un caso che merita di essere segnalato è quello della cessione degli NFT – i token crittografici che contengono informazioni uniche, non alterabili, che sostanzialmente incorporano un diritto su un asset generalmente digitale, ma anche, in taluni casi, su beni materiali – e degli adempimenti fiscali connessi. In particolare, la criticità che emerge riguarda la fatturazione dell’operazione in assenza dei dati anagrafici del cessionario-committente.
Nel contesto dell’Iva, gli NFT, in linea di principio, potrebbero essere ricondotti alla previsione contenuta nell’articolo 7, par. 2, lett. a), del regolamento UE n. 282/2011, a mente della quale si considera servizio elettronico “la fornitura di prodotti digitali in generale, compresi software, loro modifiche e aggiornamenti”. Sicché, la cessione di un NFT che non abbia alcun collegamento con un diritto, bene o servizio, vale a dire un elemento “sottostante”, dovrebbe effettivamente configurare una prestazione di servizi elettronici.
Nella pratica, tuttavia, in molti casi l’NFT viene ceduto assieme al bene, al servizio o al diritto a cui si riferisce, ossia assieme al “sottostante”. In questo caso l’NFT, come riportato nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 30/E/2023, assume la natura di mero veicolo mediante il quale avviene il trasferimento del sottostante, acquisendo rispetto a quest’ultimo natura accessoria. Sicché, ai fini della definizione del trattamento Iva, occorre prendere in considerazione l’elemento sottostante trasferito, ossia i diritti, o più in generale gli asset, incorporati nell’NFT (approccio “look through”).
Ad ogni modo, ciò che si vuole segnalare è che in diversi casi l’operatore economico che cede l’NFT è tenuto ad emettere la fattura per certificare l’operazione, ma non è in possesso dei dati anagrafici della controparte.
Infatti, le transazioni che avvengono sulla blockchain si contraddistinguono per la loro “riservatezza”. Gli scambi avvengono senza che le parti siano costrette a rendere note le proprie “generalità”, venendo utilizzati, nella maggior parte dei casi, dei “nickname”. Cosicché, nel caso delle operazioni “on chain” i dati anagrafici dell’acquirente spesso non sono reperibili. Quest’ultimo potrebbe difatti, per ragioni di privacy, rifiutarsi di comunicare i propri dati personali.
L’articolo 21 del Dpr 633/1972 impone tuttavia che nella fattura, tra gli altri dati, devono essere indicati i riferimenti del soggetto cessionario o committente, compreso il suo numero di partita Iva o il suo codice fiscale.
Al riguardo, nelle risposte ad interpello n. 324 del 09/09/2020 e n. 378 del 14/07/2022, l’Amministrazione finanziaria afferma il principio generale secondo cui nella fattura devono essere necessariamente indicati i dati dell’acquirente (in particolare la partita Iva o il codice fiscale), altrimenti il documento fiscale non potrebbe ritenersi valido.
Quindi cosa deve fare l’operatore economico? Rinunciare alla cessione se non possiede i dati di controparte?
È chiaro che il Fisco non può pretendere che un soggetto passivo Iva, privo dei dati anagrafici del cessionario-committente, non possa perfezionare l’operazione commerciale.
Un adempimento fiscale non può certo limitare l’iniziativa economica, altrimenti verrebbe violato il principio costituzionale tutelato dall’articolo 41 della Carta Costituzionale.
Considerando che nella maggior parte dei casi operazioni di questo tipo avvengono nei confronti di soggetti “privati”, un primo passo potrebbe essere prevedere almeno l’esonero della fatturazione per tutte le operazioni che avvengono nella blockchain, mediante un’integrazione delle fattispecie tipizzate nell’articolo 22 del Dpr 633/1972 (commercio al minuto e attività assimilate).
In attesa di un auspicato intervento del legislatore che risolva la questione, una soluzione “tampone” nei casi di cessione di NFT con mancanza dei dati dell’acquirente, potrebbe risultare l’emissione, da parte del cedente, di una fattura a sé stesso, ossia di un’autofattura, indicando nella descrizione della stessa in modo dettagliato l’operazione effettuata e il motivo dell’assenza dei dati della controparte.